La “nave” di Cavoli e il mistero della vasca di Seccheto

di Alberto Zei

Nei prossimi giorni, a Marina di Campo, si terrà una conferenza sul granito dedicata al paesaggio e all’importanza dei cimeli archeologici custoditi, spesso con discrezione e a volte con colpevole dimenticanza, nel territorio che abbraccia il Monte Capanne, la vetta più alta dell’Isola d’Elba. Tra questi reperti spicca, per fascino e unicità, una scultura risalente al I-II secolo dopo Cristo scolpita in un blocco cavato nella viva roccia, nel granito incorruttibile delle pendici elbane, nella località di Cavoli.

Un silenzioso testimone – Conosciuta come la ‘nave’ di Cavoli, questo monumento litico di pochi metri, che pure evoca la potenza del mito e la solennità del rito, rappresenta non solo un manufatto d’arte, ma un documento in pietra, un messaggio intagliato con volontà di eternità. La ‘nave’, che reca simboli egizi di riconosciuto valore religioso, è un testimone silenzioso di un tempo in cui le correnti spirituali del Mediterraneo lambivano anche le scogliere dell’Elba, lasciando scolpite sulla pietra le tracce della loro sacralità.
Fin dal XVIII secolo, studiosi affascinati dall’opera ne hanno riconosciuto il pregio e la portata, segnalando la necessità di tutelarla. Oggi, a distanza di secoli, l’idea che questo gioiello archeologico venga inserito in un contesto museale, protetto e valorizzato, non è frutto di zelo esagerato, ma di semplice buon senso.

L’ Accademia Edu – Un’opera simile merita infatti non solo di essere custodita, ma anche esaltata, per il suo valore culturale, turistico, artistico ed economico. Non si tratta solo della raffinatezza formale e del simbolismo religioso che la pervade, ma anche dell’incredibile perizia necessaria per scolpire la durissima granodiorite, la stessa che caratterizza l’orografia dell’area. L’opera ha attirato l’attenzione di critici d’arte e studiosi nel corso dei secoli, fino ai nostri giorni, quando l’archeologo elbano Michelangelo Zecchini — studioso di fama e profondo conoscitore delle ricchezze della sua isola natale — ne ha offerto un’interpretazione lucida, profonda e appassionata dedicandole ben tre saggi scientifici, pubblicati online su Academia.edu affinché potessero essere letti e utilizzati da chiunque lo desiderasse. Proprio Zecchini, nei suoi scritti, invita a cogliere la valenza simbolica e culturale della ‘nave’ di Cavoli, spiegando come essa testimoni un legame tra spiritualità, arte e territorio, e sollevando questioni tutt’altro che secondare.

Non vorremmo – In realtà la ‘nave’, mutuando concetti e parole del Prof. Zecchini, è un altare incompiuto caratterizzato da una sintassi geometrica raffinata e da una serie di “simboliegittizzanti” che riconducono al culto di Iside e di Osiride (valve di conchiglia, djed, dischi solari, teste taurine, coppia di serpenti a spire annodate), i cui aspetti di progettazione e di esecuzione vanno con ogni probabilità ricercati in maestranze di ascendenza egizia, o comunque formate nell’Urbe, le quali si avvalevano in loco di manovalanza specializzata nella lavorazione del granito. Se è vero che questa scultura ha resistito alle intemperie per millenni, perché oggi dovrebbe essere sottratta alla natura e racchiusa in un ambiente protetto? La risposta risiede nella necessità di preservarla non, solo dagli agenti atmosferici, ma soprattutto dalla distrazione e dall’oblio dell’uomo moderno. Non è, infatti, la prima volta che l’isola perde un’opera d’arte di inestimabile valore. Basti ricordare il caso di un’altra monumentale vasca granitica a Seccheto, una sorta di colossale calice scavato nella viva di roccia a valle del Monte Capanne e descritto nel 1789 dall’inglese Richard Colt Hoarecon tanto di misure (circa 5 metri di diametro). Un reperto di varie tonnellate misteriosamente scomparso. Un giorno c’era, il giorno dopo non più. Sparito nel nulla, certamente non distrutto, ma senza che le autorità preposte abbiano mai condotto indagini serie per risalire ai responsabili.

Un appello alla coscienza collettiva – Di fronte a episodi simili, l’Elba si trova a un bivio. Può scegliere se continuare a tollerare l’abbandono di tesori che la rendono unica nel Mediterraneo o se finalmente intraprendere un’azione concreta per difendere, valorizzare e condividere con il mondo il patrimonio straordinario che la terra e la storia le hanno affidato. La ‘nave’ di Cavoli non è soltanto un’opera antica: è una richiesta muta di memoria, un appello alla coscienza collettiva. Un bene come la ‘nave’ scolpita nel granito non è soltanto un cimelio: è una chiave di lettura del paesaggio, un oggetto poetico e politico, che rimanda alla necessità di salpare anche oggi verso una nuova consapevolezza del nostro patrimonio. Ed è per questo che spetta alla collettività, tutta, proteggerla e valorizzarla: perché ogni civiltà si giudica anche da come ha trattato le sue pietre più silenziose.

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