Porto Azzurro

La rassegna cinematografica “Elba in Pellicola”. Resoconto

di M. O. Triscari e A. Anconetani Lioveri

Non solo cornice scenografica ma anche protagonista dei suoi film: è l’Elba proposta dall’associazione D’Alarcon Forever di Porto Azzurro. “Elba in Pellicola” si configura come un itinerario cinematografico che abbraccia un arco temporale superiore a settant’anni di creazioni audio-visive. La curatissima selezione, ad opera di Stefano Muti, ingloba cortometraggi, documentari e opere di finzione ispirate all’isola d’Elba, immortalata nelle sue innumerevoli sfumature – dalle spiagge di luce alle colline di vermiglio fin ai borghi di antica tradizione.
Stefano Muti è un regista elbano divenuto celebre con il film “L’esilio dell’aquila”, opera del 2021 prodotta dalla ditta di produzione cinematografica Revolver di Paolo Maria Spina e incentrata sull’esilio elbano di Napoleone, dal suo arrivo sull’isola d’Elba nel Maggio 1814 fino alla fuga nel Febbraio 1815. Già apprezzato direttore della fotografia, Muti era qui alla sua prima prova come regista di una opera a soggetto.
Ad arricchire il cartellone, l’opportunità di incontrare i registi delle opere al termine di ciascuna proiezione e dialogare con gli autori delle opere presentate, approfondendo gli spunti tematici offerti dai film, in una ottica di vibrante e intellettualmente fecondo scambio culturale.

Lunedì 10 febbraio 2025 il Teatrino delle Suore, in via Romita 1 in Porto Azzurro, si è trasformata in un palcoscenico sospeso fra il reale e l’immaginario, ove il cinema ha indossato il manto dell’enigma: la proiezione inaugurale di “Il multiverso dei tarocchi” di Frank Wild, ha offerto al pubblico un’esperienza estetica e intellettuale che pareva dialogare con le molteplici chiavi interpretative della cultura contemporanea. La proiezione inaugurale ha permesso di dispiegare tutte le molteplici sfaccettature del concetto di “multiverso” inteso non soltanto come spazio-tempo ma come intreccio di simboli e archetipi e codici che rimandano al misterioso ordine del caso e della predestinazione. In questo contesto, Frank Wild si erge a regista-cicerone, guidando lo spettatore in un percorso che, alla maniera dei grandi racconti epici, si snoda fra ombra e luce, tra visibile e indicibile. Ogni inquadratura, ogni simbolo, si poneva a richiamare l’eterna ricerca del senso nascosto nelle pieghe del tempo.

Regista, dialoghista, autore, attore, sceneggiatore, adattatore, direttore del casting e della fotografia, Frank Wild è una figura di cineasta come non se ne vedono più: in piena autonomia – o, forse, dovremmo dire solitudine (una condizione che si fa metafora della sua amata Elba) – scrive, interpreta, dirige e monta i propri lavori consegnandoli al pubblico come diamanti grezzi che solo pochi saranno in grado di riconoscere. I suoi film, a basso costo e grana grossa, talvolta ingenui ed esagerati, così ambiziosamente sopra le righe, possono non piacere, distanti anni luce come sono dai prodotti mainstream a cui siamo abituati, ma è merito innegabile di Frank Wild quello di lavorare indefessamente da dodici anni (al 2013 risale infatti il suo primo lungometraggio) senza incentivi e sostegni che non siano le sue stesse sole forze a ricavargli, per autentica devozione al cinema. Se vi fosse una definizione universalmente valida di Arte, sarebbe questa.
«Ho iniziato a lavorare nel mondo del cinema – ci dice il regista – circa dieci anni fa. “Il multiverso dei tarocchi” (2025) è il mio quinto progetto e il primo film che mi vede alla prova con il genere di fantascienza: in precedenza mi sono dedicato prevalentemente al cinema di azione e avventura. La prima pellicola che ho girato, “The warriors rises”, opera del 2013, è invece una commedia che ruota attorno alle esperienze di un gruppo di amici di vecchia data. Con l’opera successiva, “Unstoppable” (2018), ho iniziato a cimentarmi nel genere di azione e avventura. Fonte d’ispirazione prediletta e punto di riferimento privilegiato del mio lavoro sono infatti le grandi produzioni americane: mi hanno sempre fortemente attratto le opere in cui non vi sono tempi morti, l’azione la fa da padrona, e la storia, cioè l’intreccio e la trama, è tutto. Come dicevo, “Il multiverso dei tarocchi” è la mia prima immersione nel film di fantascienza: sono molto soddisfatto della numerosa partecipazione alla presentazione e altrettanto lieto del caloroso intervento da parte del pubblico elbano, che mostra sempre grande attenzione alle novità culturali più interessanti e particolari. Con tale partecipazione di pubblico, ben superiore alle aspettative, credo che il risultato che la nostra squadra di lavoro abbia ottenuto sia maggiore di quello che chiunque potesse ragionevolmente aspettarsi: per questo ringrazio l’associazione D’Alarcon Forever, che ha attivamente sostenuto e promosso l’iniziativa sin dalle prime battute, e Stefano Muti, direttore artistico della rassegna, che ha saputo realizzare una cornice perfetta per la rassegna.»
Alla fine della serata, mentre le luci si attenuavano e (come suol dirsi) il sipario calava sul palcoscenico dell’Elba, era palpabile l’eco di un messaggio che andava ben oltre la mera visione di un film: un invito a perlustrare gli infiniti labirinti della conoscenza, a interrogarsi sui simboli che permeano la nostra esistenza e a riconoscere, in ogni immagine, la presenza di un ordine nascosto che attende solo di essere svelato.

M. O. Triscari e A. Anconetani Lioveri.

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