C’era profumo di rosa in quell’ufficio. Poi d’inceso e candele. Libri, tanti, e carta gialla. Uno scontro/incontro di parole. D’idee, di ricordi e fiducia. C’era quel tuo amore per Porto Azzurro che il tempo, gli anni e gli acciacchi non hanno scalfito. Ma reso forse più puro, più vero. Nel mio studio, nelle mie ricerche c’era il tuo sguardo, il tuo consiglio. La mezza battuta, la risata. Il dialogo fluido, fulgido, che sbatteva da sponda a sponda, da argomento ad argomento, che scavava nel passato, che continuava a provare meraviglia e gioia. Ho passato tanto tempo tra le carte gialle degli archivi, dell’archivio della Parrocchia. Date e nomi che mi hanno preceduto in questa terra secoli fa ora sono attuali, li conosco come se fossero davvero il fornaio, il guardiapesca e il procaccia del paese. Di adesso. E tra quelle carte, caro don Sergio, c’era anche la tua voce che mi guidava. Da lontano. Nei tuoi tredici anni longonesi hai imparato a conoscerli a menadito: ne ricordavi le note, la calligrafia, la cronaca. Persino la pagina. E poi, soprattutto, hai amato Monserrato. Come me, più di me. Ne hai seguito il restauro. Il rifacimento completo del tetto. Degli interni. Otto anni di lavoro. Duro. Biblico. Quella Madonna – mi dicevi – “ce l’ho sempre davanti agli occhi, basta che li chiuda e io corro lassù”. Dietro una talare corvina e una scorza dura c’era (e c’è) un uomo buono. E lo scrivo – io, refrattario a esternare quasi una sola virgola sui social – perché anche a Porto Azzurro vive una parte di te. Perché a ricordarle certe cose non si fa mai male. Perché voglio che tu possa pensare un’altra volta, da un osservatorio un po’ privilegiato, che in quell’acqua del battesimo mi c’avresti dovuto affoga’… che devi aver sbagliato qualcosa nella formula:
uno più storto di me non poteva certo venir fuori.
Ora mi rimane sullo stomaco l’ultima chiamata. Il mio “ci sentiamo uno di questi giorni” perché il lavoro al quale anche tu, in un certo modo, hai dato inchiostro e voce è quasi pronto. È il rimorso. È il tempo che ci sfugge dalle mani. È quel soffio che hai sempre dipinto nelle tue lezioni.
Ora sei davanti alla Verità. Ora riposati.
Don Sergio, il ricordo dei tredici anni longonesi
di Fabrizio Grazioso
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