Di Daniela Calafuri la prima cosa che mi viene in mente è il sorriso, non un sorriso appariscente, non una risata, ma quel sorriso discreto, bellissimo, appena accennato, venato di ironia e a volte di distacco che ti faceva capire subito di avere di fronte una donna intelligente e coraggiosa, di una bellezza singolare e inusuale.
Un coraggio che a volte dimostrava in fumose e interminabili di maschi in un Partito ad altissimo tasso di maschilismo quale era il Partito Comunista Italiano dell’Isola d’Elba, nelle quali spesso si trovava ad essere l’unica donna.
E la bimba coraggiosa che racconta Sergio Rossi, quella che si buttò dal Gronchetto umiliando i maschietti, me la sono trovata di fronte già come una sorella più grande in una di quelle riunioni, con lo stesso coraggio temerario di tuffarsi mentre gli uomini – i comunisti delle lotte partigiane e operaia – si tiravano indietro dal baratro.
L’Unione Sovietica aveva appena invaso un qualche Paese, credo la Polonia, e si stava discutendo di qualcosa che allora era una bestemmia: la patria del socialismo reale diventata imperialista. Io, che avrò avuto poco più di 20 anni raccontai di come l’URSS aveva tradito il popolo eritreo e la sua lotta di liberazione – che fino ad allora armava e finanziava – schierandosi immediatamente con la nemica Etiopia dopo il colpo di stato che aveva defenestrato il Negus e portato al potere una giunta di colonnelli comunisti – il Derg . che si rivelò uno dei regimi totalitari più sanguinari dell’Africa e di come Mosca, nel nome dell’internazionalismo proletario, stesse tenendo in piedi regimi repressivi, cleptomani, genocidi, solo perché avevano ammainato le bandiere coloniali per innalzare quelle rosse con una qualche versione della falce e martello.
Mentre parlavo, mentre il compagno della Federazione del PCI di Livorno mi guardava allibito, i mugugni diventarono “Basta!” e poi insulti, qualcuno se ne andò sbattendo la porta perché non era venuto lì per sentir insultare i compagni sovietici…
E allora Daniela si buttò dal Gronchetto dell’ortodossia che già stava franando in mare. Si buttò col suo sorriso, la sua flemma, la sua sigaretta, si buttò con tutto il suo peso e la sua storia politica e familiare. Si buttò e disse più o meno facendo ammutolire quella banda di maschi: io ascolterei con attenzione il compagno Mazzantini, ci sta dicendo cose che non sappiamo e che non vogliamo sapere. Ci sta dicendo qualcosa che ci riguarda e che non possiamo far finta che non succeda. Il futuro è questo. Prepariamoci e ascoltiamo quello che hanno da dirci i giovani (lei aveva una decina di anni più di me…), perché il futuro che ci aspetta è questo.
Qualche tempo dopo Enrico Berlinguer dichiarò a Mosca, nel sancta sanctorum del comunismo internazionale, che la spinta propulsiva del socialismo reale si era esaurita e che l’unica strada per arrivare al socialismo era la democrazia. Gli sguardi torvi che accolsero quelle parole sembravano quelli che mi incenerirono quando Daniela mi difese.
Ecco Daniela era così: comunista e curiosa, coraggiosa senza essere settaria.
Sono le Danile che allora hanno cambiato l’Italia con il loro sorriso serio, è grazie alle battagliere Daniele che l’Italia è diventato un Paese dove si può divorziare, dove il delitto d’onore è diventato femminicidio, dove le vite e i pensieri delle donne contano e valgono – o dovrebbero valere – quanto quelli degli uomini.
E’ grazie a Daniela e alle sue compagne se le ragazze possono baciare chi vogliono, sposarsi se voglio, vestirsi come vogliono, fare le scuole che vogliono e lavori “da maschi”.
Per farlo Daniela e le altre hanno dovuto combattere anche contro i maschi dei loro Partiti di sinistra, ma soprattutto contro la destra che quei diritti che oggi sembrano normalità non li voleva concedere, che li vorrebbe ancora limitare e che continua a parlare di famiglia tradizionale senza che i suoi dirigenti pratichino quel che predicano per gli altri, soprattutto per le donne da rimettere al loro posto.
Daniela l’ho rivista l’ultima volta molti mesi fa, forse di fronte allo scaffale di qualcosa alla Coop. Mi ha sorriso con quel suo splendido sorriso e mi ha fatto i complimenti per qualcosa che avevo scritto. Mi ha detto che gli aveva fatto bene al cuore. Poi, perché gliel’ho chiesto, ha accennato di sfuggita e con pudore alla sua salute e mi ha detto “Per il resto com’è?”. E il resto di cui parlavamo senza farlo non eravamo più noi: era l’amarezza di quel che abbiamo sprecato, di una politica che non capivamo più senza dircelo, di speranze appassite, ma ancora coltivate sulla finestra assolata del futuro, come una piantina odorosa di basilico dimenticata, un seme che potrebbe rinascere.
Daniela mi ha lasciato con il suo sorriso e questa volta era bello ma amaro.
E la sinistra, sia quella moderata che quella radicale, se vuole davvero ricominciare a far germogliare la speranza farebbero bene a ripartire da quel sorriso amaro, da quel “Com’è” al quale non ha saputo rispondere. Per Daniela e per le altre. Per tutti noi che piangiamo la nostra compagna.
Umberto Mazzantini
Mariano Tarantola
Ciao Daniela , collega gentile e si cera.
Condoglianze sinceri a l’amico Massimo Anguillesi.
Mariano Tarantola
Fiorella Del Bruno
23 Settembre 2024 alle 18:49