A proposito di archivi, donazioni e miniere di Rio

di Giuseppe Paletta

Riceviamo e pubblichiamo integralmente:

Questo articolo risponde al quesito posto da Lorenzo Marchetti nei giorni scorsi in un articolo pubblicato su Elba Report (e sul Tirreno, ndr) : “E’ sicuro il sindaco Corsini che l’archivio è di proprietà Fintecna?”. Prendo la parola come persona che ha la responsabilità di aver avviato come consigliere nella Società Parco minerario dell’isola d’Elba, il processo conclusosi con la donazione dell’archivio ILVA al comune di Rio.

Ne siamo sicuri dato che il 16 novembre 1995 la Soprintendenza archivistica della Toscana notificò alla società ILVA spa il notevole interesse storico del complesso archivistico detenuto presso la sede di Rio Marina dalla Direzione Miniere dell’Elba della società stessa. Il processo di dismissione dell’IRI si svolse poi attraverso una sequenza di fusioni e accorpamenti che videro l’assorbimento dell’ILVA in una serie di finanziarie: IGP-Iniziative gestioni patrimoniali spa nel 1994, Società finanziaria di partecipazione SOFINPAR spa nel 1995), Fintecna spa nel 2000. Dunque la continuità proprietaria è appurata.

Una seconda preoccupazione di Lorenzo Marchetti riguarda l’entità e la significatività dell’archivio ospitato presso il Palazzo del Burò destinato poi a divenire sede della nuova Società Parco minerario dell’isola d’Elba nata nel 1991.

La motivazione del provvedimento della Soprintendenza già nel 1995 attesta “l’importanza rivestita dall’archivio, che contiene atti dal 1851, ai fini della documentazione storica dell’attività mineraria in Toscana […]”. La dichiarazione di notevole interesse storico valse anche a evitare che la documentazione potesse essere trasferita presso altre sedi ILVA come avvenne per altri archivi della società. Dunque non siamo in presenza di “carte residuali dell’ex ILVA” come teme Marchetti, bensì del corpo principale dell’archivio costituito dal succedersi delle società concessionarie a partire dalla storica Società Elba. È utile qui precisare che un archivio minerario non è costituito dai documenti prodotti da una singola impresa, ma dall’insieme di strumenti (planimetrie, carotaggi, prospezioni, ecc.) realizzati nel tempo dai vari soggetti concessionari e trasmessi ovviamente a quelli subentranti. Più che di un archivio d’impresa, bisognerebbe parlare di una continuità operativa sul sito geologico, un continuum imprenditoriale particolarmente interessante che documenta la transizione dal privato al pubblico con la nascita dell’IRI dopo la grande crisi del 1929.

Una ulteriore preoccupazione di Marchetti riguarda l’integrità dell’archivio. In effetti FINTECNA chiese nel tempo alla Società Parco minerario, che ha custodito i documenti in tutti questi anni, documentazione sulle posizioni previdenziali utili a completare le pratiche pensionistiche degli ultimi dipendenti. Richieste del tutto lecite essendo l’impresa proprietaria della documentazione e dato che esse riguardavano l’archivio corrente non ancora inglobato nella sezione storica.

Dissipati questi dubbi e riconosciuta pertanto la liceità, l’opportunità e la correttezza amministrativa dell’azione del Comune che ha assicurato alla comunità un bene culturale essenziale ai fini del mantenimento di una consapevolezza identitaria, occorre riconoscere a Marchetti l’aver evidenziato un problema reale. Nel 2006 in quanto presidente della Società Parco minerario egli stesso attuò in accordo con il delegato governativo responsabile della Delegazione – e dunque di un ufficio periferico dell’amministrazione centrale dello Stato – il trasferimento dell’archivio nei locali della Società Parco minerario causa la precarietà di condizioni strutturali del Palazzo del delegato.

L’operazione fu compiuta da persone come Lelio Giannoni, Fabrizio Baleni, Claudio Trombi, l’appena scomparso Massimo Garbati e altri ancora che con grande senso civico recuperarono un materiale archivistico tanto più prezioso in quanto profondamente interrelato con l’archivio ILVA.

Ma ciò che nell’azione dei singoli è encomiabile perché dettato dal senso di appartenenza a una comunità e alla sua cultura non è permesso alle istituzioni le quali viceversa hanno il compito di incanalare le pulsioni positive individuali nel più generale sistema di regole che consente la relazione sociale.

Pertanto l’acquisizione di fatto dell’archivio del delegato governativo avrebbe dovuto essere formalizzato alle amministrazioni centrali competenti per regolarizzare lo stato di fatto e ottenere che i due archivi potessero continuare a raccontare congiuntamente la storia della comunità. Inoltre il trasferimento avrebbe dovuto essere palesato dall’allora presidente agli organismi dirigenti della Società chiedendone la validazione e la relativa assunzione di responsabilità. Nulla di tutto questo venne fatto e questa volta è l’archivio della Società Parco minerario a testimoniarlo. Superficialità? Incompetenza sulla normativa sui beni culturali peraltro rivisitata nel 2004 attraverso il nuovo Codice dei beni culturali? La conseguenza oggettiva e paradossale di tutto questo è l’aver oscurato l’impegno encomiabile e appassionato dei singoli con l’ombra dell’irregolarità. Con ben altro passo e chiarezza concettuale nel 2017 Umberto Canovaro redasse e sottopose alla Soprintendenza archivistica toscana il progetto di intervento di riordino che sta producendo effetti positivi ancora ai nostri giorni e che, grazie al lavoro dell’archivista Sara Guiati, ha fatto emergere la compresenza di due fondi archivistici autonomi.

Che fare allora? È possibile che si riveli necessario riprendere il processo lì dove l’allora presidente Marchetti lo lasciò insoluto coinvolgendo le autorità competenti sull’obiettivo di adoperarsi perché i due fondi possano continuare a convivere.

In ogni caso nulla toglie al fatto che la donazione FINTECNA abbia consentito a Rio di arricchirsi di un bene culturale tra i più importanti di cui l’isola disponga.

 

Giuseppe Paletta

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