Fiorella Battaglini, nata in una fredda notte di Natale, se ne è andata a Ferragosto a cavallo di un temporale estivo. E la sua vita è stata tempestosa e bella, difficile e interessante, intricata e misteriosa.
E’ stata la vita di una donna testarda e controcorrente, zitella e comunista, donna libera e di lingua tagliente, in un paese di democristiani e fascisti, ambientalista di Legambiente in terra ostile. come quando gli antiparco cercarono di bruciarle il giardino di casa con lei dentro, reduci da una delle loro tante e inutili manifestazioni piene di rabbia.
Con Fiorella ci siamo conosciuti perché compagni – lei consigliera comunale del PCI a Campo nell’Elba e io giovane dirigente comunista elbano – siamo diventati amici per sempre perché ambientalisti.
Fiorella era la donna di Galenzana. si deve a lei se la spiaggia dove nidificano le tartarughe non è diventata un porto per 600 barche, si deve a lei se Legambiente ha lottato e continuerà a lottare contro gli abusi e le prepotenze dei vecchi e nuovi padroni di Galenzana.
Fino a che è riuscita a camminare ha risalito faticosamente gli scalini dietro la Torre del porto per abbracciare con lo sguardo il posto dove ha lasciato il suo cuore e dove il suo cuore andremo a sentirlo battere nel respiro infinito delle stelle, mentre nascono le tartarughe in qualche notte di luna, mentre ripianteremo le tamerici tagliate da qualcuno che non piaceva a Fiorella e al quale Fiorella era felice di non piacere.
Fiorella se ne è andata forse in mare, a cavallo della tartaruga che da giorni la aspettava a Galenzana e tutti ci chiedevamo che cosa ci facesse lì. Avevano un appuntamento nella foresta marina di posidonie.
Fiorella è stata per me un po’ sorella e un po’ mamma. Era contenta quando stavamo insieme, quando ancora giovani parlavamo del futuro inevitabile, quando ci invitava a mangiare “qualcosina” in cene interminabili di 10 e più portate, innaffiate di vino, teorie, ricostruzioni complottistiche, sfondoni, risate. Fiorella era una cuoca sopraffina, una versione elbana e senza uomini delle eroine cuoche dei libri tropicali di Jorge Amado.
Fiorella misurava il mondo partendo da se stessa: lo sapeva grande e terribile . era una viaggiatrice innamorata dell’Africa – ma tutto partiva da quel che succedeva a lei e a Marina di Campo, persino dal casino estivo del bar sotto casa.
Fiorella aveva un sorriso ironico e bellissimo, una smorfia adorabile sul mondo, sulle malattie, su una vita difficile e a volte solitaria, sull’arte, Un sorriso e una disciplina inaspettata che diventavano le sue splendide stoffe dipinte a mano.
Fiorella amava gli animali e aveva un grosso cane nero, Pippo, balzano come lei, che la trascinava in giro per Marina di Campo a passeggio, come un cavallo trascina un piccolo carretto pieno di papaveri rossi. Dopo la morte di pippo Fiorella non ha più avuto un cane, anche se li carezzava con lo sguardo incrociandoli per strada.
Fiorella era polemica col mondo perché lo amava, ne sentiva – come a non tutte e tutti è dato sentire – la bellezza e le connessioni tra le creature e tra gli uomini, per questo era inflessibile con chi strappava la trama di questa rete vivente della quale si sentiva parte. Per questo Fiorella era ambientalista ed era di Legambiente.
Ed è l’amarezza di questa rete spezzata, di questa trama che ricuciva con le sue parole e il suo attivismo, di quell’armonia che riproduceva come una donna antica sulle sue stoffe, che probabilmente l’ha fatta arrendere in questa crudele notte di Ferragosto.
L’ultima volta che ci siamo visti alla RSA di Portoferraio, dove si era ritirata per andarsene non vista, senza dar noia a nessuno, abbiamo ripercorso in poche frasi i nostri anni, le nostre gioventù diventate maturità e vecchiaia. Fiorella era stanca, ma aveva gli occhi sorridenti e luminosi come quando lei e Pippo scodinzolante mi accoglievano in cima alle ripide scale della loro casa di via Roma. Sotto lo sguardo amorevole e complice di Marianne, eravamo tornati, forse per un’ora, tra il cemento e i campi di Casa del Duca, i giovani compagni di un tempo, ma eravamo già combattenti stanchi e Fiorella sembrava spossata da una vita logorante.
Ci siamo lasciati con un abbraccio (ed era come abbracciare un fragile uccellino), un bacio e la promessa di rivederci ma, lei lo sapeva, quello era un addio e niente mi dispiace di più di non averle potuto dare un’ultima carezza, distratto da una vita che però Fiorella avrebbe voluto che vivessi così. Spero mi abbia perdonato per non esserci abbracciati ancora una volta.
Ciao, mia carissima compagna. Salutami la tartaruga. Ci ritroveremo a Galenzana.
Umberto