Riceviamo e pubblichiamo integralmente
Siamo a metà giugno e verso le 18.50 sbarchiamo a Porto Ferraio (Isola d’Elba).
Tutto sembra molto in movimento, dalle signore eleganti con il loro copri costume Alta Moda, ai grandi imprenditori che, lasciando i propri Youcth al porto, sono intenti ad imbattersi in un interessante aperitivo, tipico dell’Alta Borghesia, dai ristoratori intenti a richiamare l’attenzione dei passanti alle icone pseudo spettrali e le N giganti in memoria della passata presenza di Napoleone.
Sta iniziando da poco la stagione estiva e l’isola d’Elba è pronta ad accogliere turisti in preda alle grandi balneazioni ed escursionisti pronti a scoprire i luoghi incantevoli ricchi di vegetazione e di opere naturalistiche.
Non certo per noi che siamo in attesa di scoprire l’altra faccia dell’isola, quella legata al suo lontanissimo passato e alle grandi miniere che fornivano i primi abitanti dall’età del Bronzo agli etruschi e poi romani, di granito e principalmente di ferro.
L’indomani mattina siamo pronti per raggiungere l’altra parte dell’isola, e c’è l’altra estremità rispetto Portoferraio.
In macchina, addentrandoci in piccoli boschi ricchi di vegetazione tipicamente mediterranea e ammirando i panorami marittimi, attraversiamo diverse curve che ci conducono addirittura ad una altitudine di circa 700 mt s.l.m. Io, insieme al mio compagno, non nascondiamo lo stupore provato nel vedere certi scenari e certi paesaggi fiabeschi.
Il blu intenso del mare che si ammira dall’alto, ci fa pensare subito di vivere e frequentare un ambiente unico ma, al tempo stesso ci fa riflettere sulla lunga storia che quest’isola contiene. Si tratta di una storia che parte dall’età del bronzo e che poi si è sviluppata fino la metà del 1800.
La realtà geologica di questo piccolo paradiso è molto interessante poiché è costituita in buona percentuale da Granito o di altro materiale magmatico come il grano-diorite che conferma la nascita dell’isola e cioè origine magmatica che portò in epoca pleistocenica alla fuoriuscita di una serie di inclusioni che si solidificarono, per poi diventare isole.
Il risultato è ciò che oggi vediamo, anche se dal mio punto di vista c’è ancora tanta ignoranza, nel senso di ignorare l’isola nella sua storia geologica, archeologica e antropologica.
Raggiungiamo Marciana, che rispetto a Portoferraio, si trova a circa un’ora di distanza con l’auto.
Scendiamo dalla macchina per trovarci una realtà storica, degna del film ‘’Non ci resta che piangere’’, in un contesto antico dove attraversiamo vicoli e abitati tra il 1300 ed il 1600. Ciò sta a significare che questa parte dell’isola d’Elba ha avuto una storia molto importante e che in qualche modo ha influenzato i vari scambi commerciali legati anche alla presenza di una delle Repubbliche MARINARE, quella di Pisa.
Ma tra una scala e l’altra e tra un vicolo ed un’ incontro con i piccoli felini autoctoni (chiamati gatti) giungiamo in una via dal nome quasi legato al paradiso terrestre, via del Giardino per poi trovarci davanti un’insolita insegna che scrive in caratteri medievali, “Zecca MARCIANA”.
La citata via del Giardino in realtà in epoca medievale, fino i primi del 800 era chiamata via della Tomba.
Ci viene da pensare che la strada fu chiamata anticamente così per via della presenza di una sepoltura, che a differenza di altre strutture della zona, poteva collocarsi in maniera solitaria e distinta rispetto tutto il contesto architettonico.
Entriamo senza indugio, presentando il nostro biglietto e subito l’attenzione cade su di un lungo corridoio di circa 15 mt che scende verso un ampio ambiente ipogeo. Non c’è dubbio è un dromos di natura geologica esclusiva, e cioè in granodioritica (proveniente da eruzione di materiali magmatici e creanti l’isola stessa).
Le caratteristiche sono quelle di una tomba etrusca con tanto di Dromos, piccolo spazio detto atrio, due camere laterali funerarie con sulla parete delle nicchie dove depositare le urne cinerarie. Secondo alcuni testi scientifici archeologici, la tomba appartenente ad una famiglia gentilizia, dovrebbe risalire al IV sec fino al II sec a.C.
Il problema che nessun testo breve, tipo guide locali, depliant e lo stesso sito web del comune di Piombino, a cui appartiene l’isola d’Elba, cenna di tale tomba o architettura funeraria etrusca.
Contrariamente ogni testo si sofferma su dati storici legati alla presenza dei Signori di Piombino, gli Appiani, che fecero costruire una residenza estiva proprio lungo l’attuale via del Giardino e che secondo alcuni documenti storici letterari poteva essere l’abitazione ed in contemporanea la loro Zecca privata, all’interno della quale, privatamente coniavano monete.
Secondo alcune errate testimonianze settecentesche, proposte dal numismatico Zanetti proprio l’isola d’Elba divenne la sede di una grande Officina della Zecca, stanza della casa Bernotti, (l’esatta identità della struttura architettonica) posizionata oltre Rio.
Ed è sulla base di queste quattro righe, che paradossalmente si è deciso di dedicare questo luogo ed intitolarlo proprio Zecca Marciana.
Inaugurato nel 2014 su progetto degli architetti Silvestre Ferruzzi e Luciano Giannoni, la struttura è perfino diventata un piccolo Museo della Zecca di Marciana, pur non avendo niente che possa condurci ad un’ antico laboratorio monetario. E’ composto da un unico grande ambiente diviso in 3 aree espositive uno sopra l’altro.
La parte sopraelevata, che altro non è che una sorta di ballatoio, mette in mostra qualche moneta di diverse datazioni e che, controllando bene le facce delle medaglie, nessuna di esse fa riferimento al potere numismatico degli Appiani.
In realtà e quindi ai Principi di Piombino, come li chiamerebbe sia Zanetti che lo stesso sito ufficiale e depliant che viene consegnato ad ogni visitatore, noi compresi.
La seconda area corrispondente all’ingresso espone alcune ricostruzioni di strumenti, oggetti vari che richiamano all’attività di un officina della zecca.
La terza si tratta dell’ipogeo vero e proprio e che, non si sa su che basi, viene identificata come un magazzino della stessa zecca.
Ci imbattiamo ad analizzare la struttura per capire cosa potesse essere essa prima di rappresentare una zecca in forma privata e, se poteva essere un’abitazione del 500 ancor prima.
L’esposizione di monete sono ridotte al minimo ed indispensabile ed io chiedo con un certo sarcasmo: su quali criteri si sostiene che questa struttura fosse una piccola zecca privata? Ci sono stati ritrovamenti in loco? E’ stata trovata qualche iscrizione che conferma il ruolo di questo ambiente?
Beh le risposte sono state tutte negative e vaghe poiché nessuno degli elementi posti attraverso le domande sono state riscontrati. In poche parole si è passato per buono e per attendibile le parole di un numismatico
che vantava di aver fatto la grande scoperta, dimenticando il buon paradigma indiziario che dovrebbe avere uno storico e studioso del passato, sotto valutando tra l’altro, l’importanza delle fonti archeologiche.
Le piccole vetrine mettono in esposizione diverse monete e qualche medaglione proveniente da altri siti e luoghi; inoltre la parte alta della struttura manca di un condotto per l’eliminazione dei fumi, di vasche per l’utilizzo di acqua e di vari canali per la fusione dei metalli; per non parlare della mancanza di grandi finestre per arieggiare l’ambiente sottoposto a vari gas e sostanze nocive. Al contrario ci sono due piccole finestre che fanno pensare ad una classica abitazione privata.
Con grande sorpresa, attraverso qualche consulto e la visita del museo Archeologico di MARCIANA, vado a scoprire che proprio qui sono esposti frammenti di ceramica rinascimentale proprio trovata all’interno della casa Bernotti, cioè l’attuale Museo della Zecca.
Quindi c’è stato un vero scambio di prove per permettere di riscontrare una storia riveduta secondo alcuni canoni richiesti.
Non c’è dubbio che l’importanza di quella abitazione nasce dall’ ultima stratigrafia posizionata in profondità, caratterizzata da una struttura architettonica più antica e che conferma (anche attraverso il consulto di una pianta dall’alto con veduta in panoramica e in sezione, facilmente verificabile su Internet) l’identità di una tomba di origine etrusca.
Perfino Wikipedia con molta non chalant, non approva la teoria del Zecca di MARCIANA ed evidenzia come a poca distanza, circa un km siano presenti delle necropoli del VII-VI sec a.C. (necropoli di Poggio). Questo ci permette di pensare che la zona potesse essere di ordine sacro in epoca etrusca e che fu scelto per costruire delle tombe.
Non a caso, come accennato prima l’attuale strada si chiamava via della Tomba (come ci fa ricordare un vecchio documento Il Catasto leopoldino del 1840). Si sa che la toponomastica non mente, anzi ci da dei buoni e quasi sempre esatti indizi.
Il problema che non sappiamo assolutamente nulla del suo corredo, che quasi sicuramente sarà stato prelevato e venduto, come non si sa a chi potesse appartenere. L’originalità sta nel materiale da dove si è scavata la tomba.
Stiamo parlando di Granodiorite ossia, una roccia intrusiva della famiglia calcalina del granito composta da quarzo, plagioclasio, K-feldspato, biotite e orneblenda e che visivamente assomiglia al granito.
Purtroppo a certe chiare evidenze archeologiche si sono aggiunte alcune obiezioni e tali, con grande stupore, sono state fatte da parte di illustri professori che accusarono che Le tombe etrusche sotterranee sono tutte scavate, in masse rocciose relativamente tenere: tufo, peperino, calcare), marna, ecc… essendo rocce morbide e facili da scavare e lavorare.
A detta di questi professori non esistono alcune sepolture o comunque ipogei realizzati in rocce intrusive come quelle di affiliazione granitica.
Su questo c’è una traccia di superficialità e limite locale, in quanto sappiamo tutti che in un periodo ben più antico, in un’altra isola come la Sardegna, venivano scavate ampie tombe (domus de Janas) proprio nel granito.
Inoltre non ci sono ne immagini ne documenti scritti, ne tanto meno ritrovamenti di monete con inciso il nome della zecca degli Appiani, mostrando lo stesso simbolo della famiglia o della zecca.
E’ chiaro che continuare a pubblicizzare una probabile abitazione del 500 sovrapponente una tomba etrusca, spacciandola per Zecca, equivale a raccontare una falsa storia del territorio, sminuendo tra l’altro un corso storico ben più antico.
Noi ci auguriamo che le ricerche e gli studi in merito possano tornare negli interessi delle istituzioni culturali, al fine magari di poter trovare altre fonti archeologiche che possano ricondurre alla vera identità del sito.
Alcuni scatti in loco.
L'INTERVENTO Marciana
L’enigma della Tomba perduta, all’Elba la pseudo Zecca
di Tatiana Melaragni
3 risposte a “L’enigma della Tomba perduta, all’Elba la pseudo Zecca”
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Claudia Becarelli
Suggerisco di consultare il libro dell’ archeologo Michelangelo Zecchini, ” Olim Ilva, hodie Elba” o un titolo simile. Non lo ricordo ora, sono passati vari anni
8 Agosto 2024 alle 18:05
Giovanni
Non capisco perché si neghi la possibilità che la tomba in questione, in tempi successivi, possa essere stata utilizzata quantomeno come forziere della zecca.
Inoltre, con riferimento alla fusione dei metalli, si afferma che “manca di un condotto per l’eliminazione dei fumi”. Peccato che non si sappia che nel locale attiguo, fino a pochi anni fa, c’era la fucina di un fabbro, con tanto di forgia per arroventare il ferro che poi lavorava a caldo.
A margine, informo che l’Elba non fa parte del comune di Piombino, ma è divisa in più amministrazioni.
7 Agosto 2024 alle 18:39
attilio
Da quando l’ isola d ‘elba appartiene a Piombino?
6 Agosto 2024 alle 22:52