Se ne è andato anche Marcello D’Arco, artista e uomo curioso e appassionato, innamorato di Portoferraio e dell’Elba come lo si può essere di eterne amanti traditrici.
Scriveva di lui Uberto Lupi: “Le linee, i volumi e le prospettive della città sono audacemente manomessi con un dinamismo drammatico che tende sempre alla sintesi. Il colore è, a sua volta, tutto compenetrato e funzionale al racconto pittorico. Azzurro, oltremare, cobalto, verde, sono, in particolare, le note più profonde e vibranti. Istintualità ed equilibrio creano una suggestione di atmosfere mediterranee”.
E per Giorgio Fanti “D’Arco è Portoferraio e Cosmopolis, e non è detto che domani non si arrovescino i termini e Portoferraio divenga il pittore che oggi la ritrae, ricrea, reinventa, in una perenne rincorsa e ricerca d’identità, la propria e quella della città. Arcane, spesso indecifrabili, sono le vie dell’arte”.
Francesco Varanini concludeva: “Portoferraio c’è ancora. Il mare e il cielo, ancora, non sono separati da confini: possono ancora invertirsi. Ma ora, al posto del chiarore, dell’azzurro e del turchese, stanno colori lividi. Cambia la vita dell’artista e cambiano i colori. La terra bruciata è il punto di partenza per inoltrarsi oltre l’ocra verso la testa di moro, i diversi toni del bruno, il rosso scuro, la notte. Fino alla monocromia del “ Duomo”. Osservando questa Portoferraio non sappiamo quando tornerà una luce più serena. Eppure ogni dipinto è sempre organizzato attorno ad un punto centrale. Un luogo di irradiazione della luce”.
Io di Marcello custodisco un libro consunto, con una costola pendula, “Cosmopolis – Portoferraio Medicea, storia urbana 1548-1737”, scritto da Giuseppe Massimo Battaglini nel lontanissimo 1978. Un libro zeppo di appunti che Marcello ha disseminato tra paragrafi e fogli aggiunti, come indicazione per decifrare la mappa del tesoro. Ma c’è anche, in due pagine e mezzo di fogli sciolti scritti a macchina, un suo scritto riassuntivo che D’Arco mi consegnò al tempo in cui Forte Inglese aveva subito una occupazione/privatizzazione strisciante che Legambiente denunciò con forza insieme a diversi artisti.
Marcello allora scriveva: “Forte Inglese (tra i siti sottoposti a vincolo dalla Soprintendenza) ha bisogno di un progetto di restauro e conservazione, ha bisogno di essere valorizzato come merita. E’ possibile e necessario recuperare, con il forte, i diversi episodi che hanno caratterizzato la storia di Portoferraio fortificata oltre le mura cinquecentesche, lungo l’itinerario che arriva fino a Montebello”.
Se Forte Inglese è stato salvato, se oggi e rinato come struttura museale viva, dove i ragazzi e i bambini dell’Isola d’Elba e del mondo vanno a conoscere gli insetti gioiello e la biodiversità abbagliante curata da Leonardo Forbicioni, se Legambiente Arcipelago Toscano 4 anni fa ha fatto un partecipato congresso nel magnifico cortile interno restaurato, se Forte Inglese è diventato un pezzo di storia viva salvato dal degrado, molto del merito va a questo artista spiritoso e scontroso, con spigoli insormontabili come quelli dei suoi quadri luminosi.
E il ricordo che ho di Marcello D’Arco è proprio in quel cortile nascosto tra le mura, allora ancora devastato dall’incuria e dal tempo, ma dove allestì una tavolata caotica di artisti e ambientalisti e in un 25 Aprile di liberazione di forse 20 anni fa cantammo “Bella Ciao” per festeggiare la liberazione del Forte Inglese e della sua storia.
Ciao e grazie Marcello, il libro te lo restituirò quando ci rincontreremo nel tuo atelier sulle nuvole.
Umberto Mazzantini