Pasquale, il mio carissimo nemico

di Umberto Mazzantini

Credevo che Pasquale Berti fosse eterno. Tutti a Marciana Marina credevamo che Pasquale fosse eterno.
Era, da quando ho ricordi, il democristiano per antonomasia di Marciana Marina e poi il Sindaco. E tale, democristiano e sindaco, ha continuato ad essere fino a che il cuore non lo ha tradito a Gstaad, dove andava in non volontario esilio per un mese all’anno insieme a sua moglie Annalaura che forse li, tra le nevi e le montagne, riusciva a tener fermo quest’uomo sempre in movimento, freneticamente politico, follemente innamorato della politica, che riusciva a resuscitare anche da sotto un’immota mazzera di spiaggia, perché follemente innamorato di Marciana Marina, che era al centro del suo mondo e dalla quale tesseva reti e rapporti che gli hanno fatto conoscere i potenti del mondo e dell’Italia.
Più che un sindaco – come ebbe a dire una volta Pasquale in uno dei suoi ultimi comizi dadaisti – è stato per un paio legislature il principe – il Principe di Macchiavelli, verrebbe da dire – di una Marciana Marina che poco più di un anno fa Pasquale ci ricordò con nostalgica precisione sui manifesti con i quali ricoprì i muri del Paese con le foto ormai vintage dei grandi lampadari in Piazza di Sopra, con le manifestazioni scintillanti e la sfilata di re ormai in esilio e potenti scomparsi o in pensione della prima Repubblica. La grandeur irreplicabile di un monarca che non ha visto arrivare la rivoluzione.
Pasquale – ora possiamo dircelo, e io gliel’ho detto anche da vivo – è stato un grande sindaco, forse il sindaco per antonomasia di Marciana Marina, che ha saputo mescolare il populismo interclassista democristiano con una visione aristocratica ed estetica della politica, la cena con i potenti e i ministri e le chiacchiere al Gran Bar La Perla e l’Eca per i poveri, i caffetani e le camice sgargianti con la giacca e cravatta e i pantaloni all’inglese e le cibatte infradito. Le processioni col Cristo Morto e Santa Chiara e i cocktail esclusivi a Villa Spinola. Il tutto portato con lo stile che era il suo stile che dette anche al Paese nelle sue scintillanti feste di piazza dove si pavoneggiava per far vedere a tutti le colorate penne con le quali aveva vestito il suo e nostro Paese.
E non è un caso che Pasquale abbia fatto di tutto per recuperare il manifesto 1 X 70 che disegnai su di lui quando era al massimo del suo percorso politico: un coloratissimo pavone con indosso una fascia tricolore e sullo sfondo il panorama di Marciana Marina e una scritta che non ricordo più e che fece divertito scalpore nella bacheca del Partito Comunista Italiano. Un manifesto di un avversario comunista che quel democristiano ha ritrovato e incorniciato come fosse la firma di un armistizio, la fine di una battaglia, il riconoscimento delle ragioni del nemico pur senza condividerle.
Quando, dopo 15 anni che lo avevamo fatto dimettere da Sindaco, Pasquale riprese a parlarmi, mi confessò che un errore lo aveva fatto: ci aveva sottovalutato. Aveva sottovalutato quei giovani comunisti per pigrizia e supponenza politica, credendo che fossero come i comunisti di prima, con molta ideologia e pochi strumenti di conoscenza. Politicamente un peccato capitale, che mi confessò come fossi un prete laico.
Poi con Pasquale è cominciata un’amicizia da reduci che non hanno le stesse nostalgie ma che si sono trovati all’incrocio ventoso di una politica che li ha divorati. Ogni tanto mi telefonava – prima sporadicamente, poi sempre più spesso, negli ultimi periodi un po’ meno – per leggermi un suo qualche intervento democristiano, pieno di segnali e avvertimenti da decifrare, da mandare ai giornali faticosamente via Internet, in modi che penava a capire, e chiedermi cosa ne pensavo, oppure mi chiamava per segnalarmi un errore nelle mie Figurine Marinesi, contestare una mia ricostruzione politica o familiare, salvandomi una volta da una figuraccia senza rimedio perché avevo messo in un elenco di persone morte uno che era vivo e vegeto.
Avevamo nostalgia di una politica fatta di obiettivi, visione, di un’idea del futuro, una diversa idea – ma concreta – anche di Marciana Marina, costruita faticosamente in riunioni fumose e intrecciando rapporti quotidiani con la nostra gente. A volte dovevamo ammettere reciprocamente che a lui mancavano i comunisti e a me i democristiani, eravamo stati nemici che guardano il mondo da sopra una trincea vuota e scoprono in ritardo che dietro lo scontro c’era comunque un rispetto inespresso – indicibile – per l’avversario. Un rispetto ritrovato ora che quel mondo è cenere, una guerra senza quartiere che era diventata divertita amicizia.
Solo 3 giorni fa ho citato in una riunione Pasquale Berti come esempio di longevità politica, di attaccamento alla politica e a una visione di paese, come uno che non ha mollato mai.
Quando ci trovavamo a parlare di Marciana Marina, per strada o per telefono, a volte ci preoccupavamo perché eravamo d’accordo su troppe cose ma lui, dopo avermi stordito di ipotesi, facezie e qualche pettegolezzo, concludeva sempre, immancabilmente con un’esortazione che sembrava incongrua perché rivolta a un ateo del quale lui aveva celebrato di malavoglia il matrimonio in Comune: “Speriamo in Dio”.
E io spero che il Dio in cui sperava Pasquale lo accolga nel suo Paradiso e che i marinesi che lo hanno preceduto lo stiano aspettando e lo eleggano sindaco e principe. Quando – spero fra molti anni – lo raggiungerò, organizzeremo l’opposizione e ci divertiremo come matti.

Umberto Mazzantini

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