Sono rimasto molto scosso dalla notizia della scomparsa del caro amico Giuseppe Castelnovi. La mia amicizia e della mia famiglia con lui è stata una amicizia forte e affettuosa. Pepi era di famiglia, insieme con la amatissima moglie Franca, lei di origini fivizzanesi (di Pognana per precisione) come il mio babbo. Hanno entrambi frequentato la mia famiglia materna fin dall’inizio del Gabbiano Azzurro nato oltre cinquanta anni fa, durante la gestione ultratrentennale di mio zio Angelo. Abbiamo poi consolidato la nostra frequentazione anche per l’origine lunigianese della moglie, da bambina compaesana sia di mio padre sia di mio zio Loris. La scomparsa improvvisa di Franca, pochi anni fa, aveva oscurato in parte la vivace presenza di Pepi. Uomo di grande simpatia e piacevolezza, sempre pronto a affrontare discussioni e considerazioni significative, spesso in contrasto (apparente) con la consorte: mi si perdoni il paragone, un po’ alla ‘Raimondo e Sandra’. Eppure il loro legame era molto forte e la loro vita insieme molto intensa, pur nelle rispettive caratteristiche temperamentali piuttosto opposte, ma si sa che è la complementarietà il ‘sale’ dei rapporti umani e sentimentali. C’era poi il Pepi scrittore, giornalista e studioso che, come il suo collega Schianchi ben dipinge nei brani che sotto riporto, faceva il paio con la persona curiosa e perspicace che chi lo ha conosciuto ha sempre incontrato. Non ricordo una sera in hotel che con lui non ci fosse l’occasione di ricordare fatti e avvenimenti del passato sia legati alla sua carriera di grande giornalista sportivo sia episodi legati alla sua vita di genovese trapiantato a Milano. Poi c’era la sua generosità. La sua grandezza era quella che pochi uomini hanno davvero, ossia quella di essere disposti verso gli altri e partecipi non del proprio mondo sulle altre persone, bensì il contrario. Riconoscere l’importanza del mondo altrui e condividerne per quanto possibile le comuni emozioni. Allora, da grande appassionato e studioso di ciclismo, non ha mancato mai di omaggiarmi di un suo volume su Coppi o Bartali, ma durante la mia esperienza di presidente del Ducati club dell’isola d’Elba non mi ha fatto mai mancare, ogni anno, quella che era l’ultima e più importante edizione sui bolidi rossi di Borgo Panigale. L’ascolto e l’attenzione verso l’altro e la disposizione verso il prossimo: pregi rari e complessi che erano in lui spontanea presenza. Nominarlo membro del Comitato d’Onore del premio è stata una cosa che con Franco Semeraro abbiamo ritenuto doverosa a suo tempo e lui, pur schernendosi sempre al riguardo, era orgoglioso di questa cosa e non mancava mai di farmi avere opinioni e valutazioni su vincitori che si sono succeduti in venti edizioni. Marciana marina ha avuto un figlio adottivo molto illustre che sarebbe giusto omaggiare pubblicamente. Noi lo faremo. La ventesima edizione del Premio Letterario La Tore sarà dedicata a lui. Della sua importanza nel panorama culturale e giornalistico italiano lascio parlare il suo collega Schianchi della Gazzetta, che in poche parole ben inquadra il personaggio: (…) Il passato era per lui fonte di conoscenza e non semplice e banale nostalgia del tempo perduto. Materiale che avrebbe poi utilizzato per i suoi libri, scritti quando ormai era andato in pensione, o per gli inserti o i numeri speciali che Cannavò immancabilmente gli affidava perché della sua competenza, della sua attenzione e della sua precisione si fidava ciecamente. Non fu un caso che tutte le iniziative editoriali per il centenario della Gazzetta, nel 1996, vennero coordinate da “Castel”, e di errori o refusi neanche l’ombra. (…) Lui, sempre pacato nei modi e nelle parole, governava quella squadra con il piglio dell’ammiraglio: jeans, camicia azzurra e un menabò di carta rosa arrotolato attorno al collo per asciugarsi il sudore, stava in redazione dalla mattina (quando c’era la riunione) fino alla chiusura del giornale, intorno a mezzanotte. Ordinava pezzi, chiedeva interviste, coordinava il lavoro degli inviati, discuteva i commenti, impaginava i titoli, tagliava gli articoli troppo lunghi. Un perfetto artigiano al servizio della causa, uno di quelli senza i quali un giornale non solo non potrebbe essere fatto, ma nemmeno pensato. Di lui colpivano la gentilezza, la dedizione al lavoro, la modestia, l’umiltà. Ne sapeva il doppio, o forse il triplo o il quadruplo, rispetto a colleghi che avevano l’onore del palcoscenico, eppure mai ha brigato o desiderato arrivare lassù. Il suo giornalismo aveva il sapore del pane fatto in casa, frutto dell’impegno, della conoscenza e del sudore. E grazie alla sua mitezza e ai suoi frequenti esercizi di persuasione tanti giornalisti della Gazzetta sono cresciuti e hanno imparato il mestiere all’ombra di “Castel”, uno al quale era impossibile non volere bene. (Andrea Schianchi, ‘La Gazzetta dello Sport’ del 23 novembre 2013). Giuseppe Castelnovi era nato a Rossiglione (Genova), nel 1932. Aveva alle spalle più di mezzo secolo di giornalismo in gran parte svolto alla “Gazzetta dello Sport” di cui è sempre stato considerato una delle memorie storiche. Nel 1996 ha curato tutte le iniziative editoriali legate al centenario della “rosea” realizzando anche mostre fotografiche (“Il Giro racconta” e una monografica su Fausto Coppi). Ha pubblicato “TuttoCoppi” – premio Emilio De Martino 2000 – e con Marco Pastonesi “Coppi, ma Serse”. Con Pier Bergonzi ha curato un libro su storia, leggende, curiosità e protagonisti del Giro d’Italia (1999). Dal 1998 curava la realizzazione di un calendario dedicato a Coppi, ma che coinvolgeva storia, personaggi e letteratura del ciclismo. Il nostro premio perde una figura illustre del suo Comitato d’Onore e tutti noi perdiamo un Amico: gentile, colto e simpatico.
Jacopo Bononi
presidente Premio Letterario “La Tore”