Riceviamo e pubblichiamo integralmente per diritto di replica:
Siamo un gruppo di donne di origini diverse, di età diverse, con storie e percorsi diversi.
Abbiamo avuto bisogno di tempo per digerire e poi rispondere all’articolo comparso su ElbaPress il 12 ottobre scorso, perché era intollerabile per noi leggere solo le dichiarazioni delle avvocate dell’accusato di uno stupro così efferato come quello avvenuto a Capodanno. Soprattutto l’affermazione che quest’uomo “possa riprendere in mano la propria vita e continui ad affrontare questo processo.. con la stessa serenità che lo ha accompagnato fino a ieri in aula” ci ha fatto indignare.
Nessun commento o dichiarazione sulla sopravvissuta, i cui segni restano impressi nel corpo e nell’anima? Avete provato a mettervi nei suoi panni? O a pensare che vostra figlia, sorella, potrebbe trovarsi in una situazione del genere? 29 giorni di prognosi dal pronto soccorso alla sopravvissuta già parlano da soli di una violenza inaudita!
Perché una donna che denuncia ancora oggi si trova a dover affrontare dei processi in cui viene messo in discussione come era vestita, sul perché non abbia reagito urlando o chiedendo aiuto, su se avesse bevuto o no, e tutta una serie di dubbi sulla sua moralità, e questo non solo nelle aule dei tribunali, ma anche nelle chiacchiere da bar o nei vari social in cui chiunque si permette di giudicarla.
Non si può dire altrettanto degli uomini denunciati, che di solito reagiscono alla denuncia della propria compagna con un odio che può portarli al femminicidio, come dimostrano tristemente le cronache quotidiane in Italia.
Come si può reagire con serenità all’idea che una persona accusata di aver compiuto un atto del genere, sia così serena da essere quantomeno inconsapevole del dolore che ha provocato?
Se una società vuole realmente contrastare la cultura dello stupro, non può ancora permettere che le donne che denunciano siano messe sotto accusa, offese, vessate o sottoposte a pressioni psicologiche, ma è necessario e doveroso sostenerle, accoglierle, proteggerle.
La voce delle donne non può essere messa in dubbio, per questo crediamo che la nostra azione consapevolmente solidale debba servire affinché la società intera riconosca e si assuma la responsabilità di denunciare, isolare e combattere la cultura dello stupro e la sua legittimazione.
E’ necessario esprimere che siamo assolutamente dalla parte delle donne che denunciano violenze, che con loro ci riconosciamo, che è una questione che ci riguarda, personalmente e collettivamente.
L’attitudine di questa donna in particolare, di sottrarsi al ruolo di vittima e quindi di prendere in mano la situazione, anche attraverso la denuncia della violenza, ovvero di autodeterminarsi, ha innescato un processo positivo di reazione all’interno di una parte della comunità elbana.
Sull’onda della reazione emotiva e collettiva si è costituito il nostro gruppo “Donne in cerchio”.
Immediatamente ci siamo trovate e abbiamo sentito l’urgenza di esprimere la nostra solidarietà, il nostro sostegno e la nostra gratitudine alla donna in questione. Determinate a dare voce alla necessità di rispettare categoricamente i no delle donne abbiamo realizzato, prodotto e distribuito un fumetto sull’argomento.
Donne in cerchio è ora un punto di riferimento e sostegno reciproco e stimolo per altre donne per denunciare altri casi di violenza, ma è soprattutto luogo di riflessione e reazione alla violenza patriarcale, che non sarebbe nato senza il coraggio di chi per prima ha denunciato.
Ci siamo, siamo con te, anche se non ti conosciamo, siamo tutte donne offese, unite siamo più forti
donneincerchio