Frequentando abbastanza assiduamente il Volterraio, all’interno, durante le visite effettuate come Guida Parco, ma anche esternamente quando vado a scattare immagini di fotografia naturalistica alla flora e all’avifauna presente, ho imparato a conoscere i venturoni corsi che prima avevo osservato a malapena e di cui avevo avuto notizia studiando le specie endemiche dell’Arcipelago Toscano.
Il Volterraio è un luogo suggestivo, aspro e unico: come un grande gnomone naturale che nelle ore pomeridiane proietta la sua ombra sui rilievi vicini, l’irta struttura osservata da lontano può ricordare quella di un vulcano con la sommità divisa in due cuspidi. Una è uno sperone roccioso mentre l’altra è la fortezza medievale che domina tutto il golfo. Vi insistono piccoli arbusti di cisto marino, cuscini di ginestra spinosa, cespuglietti di lavanda, elicriso e di nipitella che profumano l’atmosfera del rilievo, movimentata dal maestrale e dallo scirocco.
La rocca ha sempre ispirato la fantasia popolare e quella dei poeti e degli scrittori. Diversi sono le leggende e i racconti, a dire il vero quasi tutti dai toni drammatici, nati intorno alle rovine del castello.
Sono stati molti gli studiosi e i geografi che, descrivendo l’Elba, hanno trattato il Volterraio, colpiti dalla sua straordinaria collocazione e suggestiva struttura. Tra questi Sir Henry Swinburne, viaggiatore e geografo inglese, che visitò l’isola nel lontano 1777 e che, durante la sua gita a Rio, si arrampicò fino al castello per raccontarci di una guarnigione ormai ridotta, con solo sei uomini, ai minimi storici e della bella veduta offerta dal luogo.
Mario Foresi, illustre letterato e collezionista d’arte isolano, fondatore della Biblioteca Foresiana, è l’autore di un interessante descrizione della rocca nel suo “Periplo elbano”, il capitolo introduttivo della storica guida “L’Elba illustrata” … Il Volterraio è il più antico degli edifici che mostrano la passata importanza dell’Isola. Per la strada mulattiera che uscendo di fra le piccole e fragranti pinete dei Magazzini mena a Rio, arriviamo al piede del dirupo in cima a cui, su una cinta naturale di ftaniti, è fondato il vetusto maniero. Qua e là, fra la macchia folta e selvaggia che riveste i fianchi sassosi della montagna, scatta fuori qualche pianta di fico selvatico; niente altro; e un solo sentiero, se pure si ha da chiamar tale, la via che concede d’arrampicarci fin lassù, conduce all’entrata dell’edificio rovinato …
Oggi il Volterraio è stato restaurato e reso visitabile a cura del Parco Nazionale e l’edificio non è più rovinato come lo ha descritto Mario Foresi ma le caratteristiche naturali del luogo rimangono quasi immutate ed è proprio qui che ritraggo questi colorati ospiti alati che vi trovano il proprio habitat. Li ho documentati beccare semi e germogli sui cespuglietti di nipitella che crescono tra le pietre fin sotto la fortezza oppure, anche all’interno della rocca, nutrirsi sulle piante della parietaria, caratteristica delle muraglie. Per un certo periodo, in estate, ne avevo individuato un gruppetto, forse una famiglia molto confidente che sembrava voler dire: questa è casa nostra, sei tu l’intruso… Come se fossero gli ultimi rappresentanti della storica guarnigione del Volterraio hanno continuato a nutrirsi tranquillamente sulla vegetazione anche durante le visite guidate, cosa che mi ha permesso di scattare tranquillamente diverse foto a questi esemplari.
Di fronte al Volterraio, pìù in là, oltre al territorio elbano, in mezzo al mare è Capo Corso e la parte più settentrionale della Corsica, poco più a Nord o giù di lì è Capraia, e ancora più a Nord e Gorgona. Ecco l’areale di questo passeriforme endemico del Tirreno (si trova anche in Sardegna) che potrebbe essere uno dei simboli alati del Parco Nazionale Arcipelago Toscano, insieme al Gabbiano Corso che appare sull’emblema grafico dell’area protetta.
A Capraia li ho documentati proprio un paio di settimane fa, in paese. Scendendo dal Forte San Giorgio nel nucleo abitato e poi verso la Torre del porto, in un’atmosfera incantata e priva di rumori, che solo Capraia a settembre può offrire, un gruppetto di compagni colorati di giallo erano impegnati a estrarre i semi dalle pigne di un pino d’Aleppo. Passando sotto la pianta ho sentito il rumore del frugare tra le pigne che si aprivano ancora con il caldo – temperature ormai fuori stagione: alzo gli occhi e riesco a documentare la scena dell’allegro banchetto tra le fronde del pino.
Così, quando la sera gruppetti di persone salgono al Volterraio per osservare il tramonto, laggiù verso Capraia, la Giraglia e ormai di questa stagione, sui rilievi di Capo Corso, tra Rogliano e Centuri o adesso forse ancora più verso la massa del Monte Capanne che tra poco ne celerà la discesa, si sappia che quel sole che scende rosso con i suoi ultimi raggi cremisi illumina il mondo del Venturone Corso.
(Antonello Marchese – * Guida ambientale e turistica. Guida ufficiale del Parco Nazionale Arcipelago Toscano. Fotografo di Natura. Promotore dell’azione Elba Foto Natura, nell’ambito dei progetti della Carta Europea per il Turismo Sostenibile per il Parco Nazionale Arcipelago Toscano)
Il Venturone corso, la leggenda del Canarino dell’Elba e quella sul clima.
Viviamo anni in cui tutti, proprio tutti, a prescindere dagli studi effettuati o dalle reali conoscenze acquisite pretendono di esprimere sentenze “blindate”, coltivano leggende e miti, credono a cose indimostrabili pensando che questo le renda verosimili, invece che false.
Una notte della prima metà del XVII secolo un galeone spagnolo si trovava in difficoltà al largo delle coste rocciose dell’Isola d’Elba, prima di naufragare si liberò del suo carico, forse per un gesto estremo di pietà, o più probabilmente perché si sfasciò, ma il suo carico era piuttosto particolare: canarini. Canarini selvatici provenienti dalle Isole Canarie di cui la Spagna era la sola nazione ad esercitare commercio. Gli uccelli si salvarono raggiungendo l’isola e, negli anni finirono per “incrociarsi” con i Verzellini isolani formando una popolazione di fringillidi dai caratteri ibridi anche se ancora piuttosto simili ai canarini selvatici (Serinus canaria) ma con colorazione dorsale somigliante a quella del Verzellino (Serinus serinus). A dimostrazione dell’esistenza di questa nuova specie unica dell’Elba esiste persino un acquerello, probabilmente dipinto da Vincenzo Leonardi proprio nella prima metà del 1600 intitolato “Canaro dell’Elba”, attualmente conservato alla Royal Collection Her Majesty Queen Elizabeth II. Nell’acquerello è ritratto un fringillide piuttosto simile ad un Canarino ma più scuro e marcato.
Allora tutto vero? No, nessuna specie “ibrida”. L’acquerello ritrae perfettamente un adulto di Venturone corso (Carduelis corsicana) un piccolo fringillide giallo, grigio e marrone che ci racconta una storia particolare, ma vera; la storia di una “specie relitta” e di uno dei preziosi endemismi sardo-corsi.
L’ultima era glaciale aveva spinto verso sud le popolazioni di tutte le forme viventi che abitavano l’emisfero settentrionale, tra queste molte specie di uccelli, tra le quali il Venturone alpino (Carduelis citrinella). Le popolazioni di questo uccelletto raggiunsero le coste dei mari Ligure e Tirreno, le nostre isole (alcune non erano affatto tali, ma collegate al continente, come l’Elba, ad esempio), la Corsica e la Sardegna. Poi il grande freddo cessò, le popolazioni nordiche tornarono negli areali originari, ma alcune o parti di esse rimasero isolate e finirono per evolvere caratteristiche proprie allontanandosi così dalla specie “originaria”. Caratteristiche che le rendessero adatte alla vita nei nuovi ambienti. Così accadde alle popolazioni “relitte” di Venturone alpino finirono per “speciarsi” e il Venturone corso attuale appare ancora molto simile alla specie ancestrale, solo con colorazioni più marroni e calde, assai più adatte a mimetizzarsi tra le rocce e le garighe mediterranee che tra le rocce alpine di alta quota. Persino il verso e il canto, pur somiglianti, sono diversi. Come spesso avviene tra le specie relitte, inoltre, anche il Venturone corso dimostra una maggiore plasticità ambientale rispetto alla specie ancestrale, frequentando tanto i roccioni sommitali pressoché spogli quanto i boschetti, le vicinanze delle case e le macchie fittissime di scopa, dalle alte montagne corse alle coste delle nostre isole.
Allora, direbbe qualcuno, il clima è sempre cambiato, ciclicamente, e il Venturone corso ne è la prova! Tutto vero?! No, niente affatto. Il clima del pianeta è sempre cambiato e come, ma, ad esempio, dall’ultima era glaciale ha impiegato qualcosa come undicimila anni, più o meno. I ghiacciai anche allora si sono ridotti ma nessun essere umano avrebbe potuto accorgersene o testimoniarlo perché non sarebbe vissuto abbastanza a lungo. Nessuno li avrebbe visti sciogliersi anno dopo anno, come accade adesso. E questo a prescindere dal parere e alle sentenze blindate dell’opinionista climatico di turno.
E i nostri venturoni del Volterraio o di Capraia raccontano del continuo e lento mutare di questo pianeta e delle forme di vita che lo rendono così speciale in tutto l’Universo.
(Giorgio Paesani -** Ornitologo )