Oggi Porto Azzurro festeggia la ricorrenza della Madonna di Monserrato, il più importante dei suoi legami con le tradizioni della dominazione spagnola del XVI Secolo. Ma in quanti sanno la sua storia? Ce la facciamo raccontare, mirabilmente come pochi altri sanno fare, da Fabrizio Grazioso.
C’era una volta…
La storia di questo luogo potrebbe davvero iniziar così, come una favola, una leggenda che si perde oscura nel tempo: un governatore, una tempesta, il mare e… la fede.
È il 1606. Don Joseph Ponçe Y Lëon – per voto o per incanto – s’impegnò a far costruire, a 125 metri, su un’altura a nord del Presidio, una cappellina dedicata all’omonimo monastero di Monserrat, in Catalogna.
Dal 1616, con un atto testamentario, lo affidò poi ai frati di Piombino, affinché vi fosse celebrata messa ogni giorno. Un impegno durissimo, che tanto costò ai poveri cappellani di paese, ma ossequiato per oltre centocinquant’anni.
Tutto il resto è storia, prosa.
Monserrato è il luogo del tempo perduto, la condizione extrasensoriale che converrebbe ad uno zelante anacoreta, il punto d’incontro tra immanente e trascendente, tra l’Uomo e il Cielo insomma. L’armonia d’un’acqua di sorgente rende feconda la terra, la roccia, il diaspro. E di questa fertilità ne trae beneficio anche la fede.
La cupola svetta alta, si confonde tra i monti, ci s’addormenta. Le stanze del romitorio profumano. Vi aleggia (fascinoso) lo spirito d’un passato neanche troppo lontano, d’un passato che trasuda d’abnegazione, di sacrificio… quello del corpo. Là, nell’oratorio (sala capitolare), tra pareti “sgarrupate” in cui decorazioni floreali avrebbero edulcorato la meditazione, quei vespri gregoriani pare ancora di sentirli; stonati, ovviamente, con un latino maccheronico. Vivi comunque. La cappa del camino, sia d’inverno che ďestate, non smetteva mai di fumare. Il lavoro nei campi richiedeva forze, energie. Troppe. I beni furono dati in enfiteusi, poi… “perduti”. Tutti i santi giorni pellegrini d’ogni risma facevan visita alla Madonna, al suo… “Sacellum”. E quando calava il drappo che la nascondeva da occhi indiscreti, nel vederla nera, sospiri e mugugni. Dopo la consegna dell’ “ex-voto”, il mormorio degl’uccelli avrebbe conciliato la preghiera: l’uomo tutt’uno con la natura, col creato (una specie di panismo).
Con tonache mezze sfilacciate, gli agostiniani prima e gli alcantarini dopo, raminghi tra boschi, in cerca di legna. E nelle grotte, con ancor più distacco, se n’andava quatto quatto l’eremita. Già allora, nel mondo, c’era troppa confusione. Ne sapeva qualcosa pure don Carlo, il perticone di sacerdote che per tutto l’ottavario, e a settant’anni suonati (fino al ’55), prendeva residenza all’Eremo. A ripagarlo della fatica, l’incantevole panorama: un idillio appena fuori casa. Di notte, a fargli compagnia, la luna, il silenzio e il pianto d’ un timido “chiù”. Poi, alle otto, tra sbadigli e acuti, la messa.
Monserrato è un viaggio, anche e soprattutto nel tempo, un viaggio nella vita che scorre, nei giorni di un uomo e in quelli delle stagioni.
Insomma, Monserrato è Monserrato. Punto.
Mino
Grande Fabrizio
Grazie per ciò che fai
8 Settembre 2023 alle 19:02