L’importanza del ricordo: “Si può sempre dire un sì o un no”

di Enzo Sossi

Il genocidio della Shoah, del popolo armeno, la tragedia delle foibe sono momenti molti intensi, forse fondamentali per non perdere la memoria e tramandare alle nuove generazioni gli orrori del secolo scorso. La lezione della prima metà del Novecento pare essere rimasta inascoltata, altri due genocidi sono avvenuti, quello bosniaco e quello ruandese. Anche in quei momenti terribili ci sono state persone che si sono ribellate a quelle tragedie e a chi le ha commesse. Non era facile e non è facile farlo; poiché reagire alla macchina propagandistica, al senso comune, che spesso coinvolge gran parte delle opinioni pubbliche, provare a inceppare le terribili macchine di morte che chi detiene il potere ha messo in moto, costa spesso l’isolamento, il confino, il carcere e non di rado la morte. Nonostante ciò, tante donne e tanti uomini hanno trovato e trovano la forza e il coraggio di non fare finta di nulla, di non voltarsi dall’altra parte e, a costo della vita, si schierano dalla parte dei più deboli, dei perseguitati e di chi viene privato della dignità di essere umano, prima che della vita. Persone normali, che hanno molto da perdere e nulla da guadagnare nel disobbedire agli ordini di regimi forse poco democratici. Eppure l’hanno fatto e lo fanno.

Il XX° secolo ha mostrato come il progresso e le realizzazioni tecnologiche possono non solo coesistere con i peggiori crimini contro l’umanità ma addirittura favorirli. La Shoah è stata un esempio della pianificazione e della accurata organizzazione della strage di milioni di innocenti voluta dal regime nazista e dai suoi complici e satelliti. Com’era potuto accadere un simile abominio nel cuore dell’Europa, in Paesi di cultura avanzata? Poi, il genocidio della Turchia, durante la Prima guerra mondiale, a danno degli Armeni. Un crimine rimasto impunito e su cui, per ragioni politiche, è calato subito un vergognoso velo di silenzio. Occorreva una parola nuova, che traducesse la volontà di un governo di procedere all’annientamento fisico e psicologico di una comunità presente nel proprio territorio o in Paesi resi satelliti. Nel 1944, Lemkin creò il termine genocidio, diventato sinonimo di male assoluto.

Le tragedie dell’ex Jugoslavia, della Cambogia, del Ruanda e ora anche dell’Ucraina, sono lì come monito per tutti noi che il male non è stato debellato, ma non è nemmeno riuscito a celebrare trionfi definitivi sul bene. Nelle pagine buie della storia si può osservare un piccolo punto luminoso: lo tengono acceso le persone che, pur subendo il bombardamento della propaganda di odio e pur vivendo in ambienti conformisticamente proni alle aberranti logiche del potere, hanno saputo tenere vigile la propria coscienza, per contrastare l’ingiustizia, per proteggere e salvare i perseguitati.

Non sono persone dotate di un particolare coraggio o di una levatura intellettuale e morale superiore alla media, si tratta di donne e uomini, che non di rado hanno agito d’istinto, sentendo che comportarsi in quel modo era giusto e basta. Non si preoccupano delle conseguenze del loro gesto. Non sono animanti da una fede o da un’ideologia, ma da un sentimento di umana solidarietà e da un senso di giustizia, ma non quello dei tribunali che è tale solo in riferimento a leggi giuste, ma che se applicate a norme aberranti e incivili, come le leggi razziali o altri simili provvedimenti varati da governi o regimi liberticidi e violenti.

Da europei pensiamo e crediamo che eventi di tale inumanità, come i genocidi o le pulizie etniche ci riguardano da vicino, perché offendono il nostro concetto morale di umanità. Abbiamo il dovere di essere interessati, della memoria. I perseguitati raggiungono una breve stagione di notorietà sui mass media, mentre le persone comuni che hanno detto no restano anonime.

Tuttavia, si può sempre dire un si o un no, che pare la sintesi perfetta del libero arbitrio e della scelta etica. Lo scopo è quello di fare emergere il concetto di giusto come concetto universale, indipendentemente dal particolare contesto storico o geografico, e di rendere omaggio a coloro che si sono e continueranno ad opporsi ai crimini contro l’umanità e per tenere viva e trasmettere la memoria.

 

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