Forse, anzi probabilmente siamo l’ultima generazione a ricordarsi com’era la vita prima della rivoluzione digitale. Il digitale è ormai ovunque e condiziona ogni aspetto delle nostre vite, eppure non ha determinato una nuova fase di sviluppo economico con la creazione di nuovi settori produttivi com’è invece avvenuto nei secoli passati con le rivoluzioni tecnologiche della macchina a vapore, dell’elettricità e del motore a combustione. Al contrario l’industria digitale ha colonizzato i settori produttivi tradizionali cooptando i migliori cervelli verso se stessa. L’attrazione esercitata dal digitale probabilmente ha distolto intelligenze, risorse finanziarie, attenzione politica da altri settori altrettanto importanti per il benessere collettivo.
Vari esperti hanno sollevato il dubbio che il digitale pare essere la contraddizione tra l’entusiasmo suscitato e la sua mancata evidenza di un suo significativo impatto sulla crescita economica. Stiamo assistendo in molti Paesi occidentali, in questi ultimi anni, ad una fase in cui la crescita del benessere percepito pare essersi arrestato, ciò in contrasto con l’aspettativa che si era creata negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, quando si era convinti che la rivoluzione digitale poteva dare il via a una nuova crescita e ad una spinta dinamica verso il benessere collettivo. In passato tutte le grandi innovazioni tecnologiche erano seguite a fasi di intensa crescita, ma questa volta non è accaduto. Al contrario, la rivoluzione digitale ha prodotto un forte dinamismo fine a se stesso interno. L’impatto è stato devastante nella classe media, mentre vi è più spazio per le risorse umane a bassa qualificazione da utilizzare in modo occasionale e temporaneo.
L’evoluzione non aiuta di certo a rafforzare il tessuto sociale e a ridurre le disuguaglianze. Il prodotto di maggiore successo dell’era digitale è lo smartphone, oggi l’oggetto di consumo più diffuso del pianeta, che ha generato una dinamica molto particolare: ha fatto nascere imprese dominanti in mani di poche persone con un enorme potere finanziario e una forte influenza politica in grado di mettere in crisi le democrazie occidentali.
Si sono formate grandi industrie come Apple, Samsung, Microsoft, Google, Facebook che detengono un ferreo controllo soffocando le altre imprese che col tempo potrebbero divenire potenziali concorrenti. Un dominio assoluto mai seriamente contrastato dai governi che ha avuto importanti conseguenze sia sociali che politiche e che è durato fino a quanto non è esploso TikTok, l’app cinese impossibile da acquistare o da cannibalizzare per le società digitali occidentali.
TikTok che dopo avere conquistato il mercato social dei giovanissimi, si è allargato ad altre generazioni cominciando a influenzare anche la politica facendo uso di algoritmi e della viralità dei messaggi. La rete cinese ha sviluppato capacità di creare meccanismi di dipendenza degli utenti più profondi di quelli alimentati da altri social come FB, Instagram, WhatsApp. Con conseguenze sulla formazione della personalità e sui comportamenti dei giovanissimi, visto che TikTok è arrivato ovunque.
Tuttavia, le grandi aziende digitali lasciate senza vincoli politici sono diventate imbarazzanti per le democrazie occidentali ed hanno creato un oligopolio nel quale poche persone hanno acquistato un incredibile peso economico-politico creando problemi di mancato sviluppo economico e di nuovo benessere per la collettività. Probabilmente, pare essere arrivato il tempo dopo la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina che ha lasciato aperti problemi immensi che tutti i Paesi saranno costretti ad affrontare come la crisi economica, la crescita esponenziale del debito pubblico e l’aggravamento del malessere sociale. Sono tutte questioni che richiedono un ripensamento paradigmatico di un nuovo modello di società e di organizzazione economica. Forse questa è l’occasione per affrontare con la necessaria determinazione la questione del ruolo del digitale e delle finalità sociali che deve realizzare.