“Non riuscivo più ad andare avanti. Abbiamo sfruttato troppo il mare. Se togli sempre senza dare nulla in cambio, prima o poi si svuoterà”. E’ il quotidiano La Stampa a raccontare questa storia che arriva dall’isola d’Elba.
Dopo anni di sofferenza e amare riflessioni, Gaetano Avellino, pescatore da tre generazioni prima a Ponza e poi sull’isola d’Elba, ha deciso non senza malincuore di cambiare vita. “Da luglio – si legge sui social del giornale di Torino – mi dedico alla pesca turistica: carico visitatori a bordo, usciamo in mare, caliamo le reti, poi le tiriamo su e insieme mangiamo il pescato appena preso, forse per loro il più fresco mai mangiato nella vita”. Un progetto in cui Avellino è aiutato e spronato dalla figlia Veronica. “È stata lei a spingere in questa direzione e aveva ragione: il lavoro è meno faticoso e più remunerativo, è stata una svolta: ora ci chiamiamo “La barca dei matti” perché in fondo un po’ lo siamo! E i social che gestisce lei ci danno una bella mano nella promozione”. E la pesca tradizionale? Acqua passata, o quasi… “Questo inverno sono uscito un paio di volte, avrei fatto meglio a stare a casa: si prende sempre meno e allevamento e import da Sudamerica e Paesi asiatici ci sta uccidendo”, dice con amarezza il pescatore, socio di Acli Pesca a Marina di Campo sull’isola, cooperativa che ora sta abbandonando per dedicarsi totalmente al nuovo business.
La storia di Avellino è emblematica delle difficoltà che questo mestiere, uno dei più affascinanti e cantati del mondo (“All’ombra dell’ultimo sole…” cantava De Andrè) incontra sempre di più per un intreccio irreversibile di crisi ambientale, sociale ed economica. Basta pensare a un peschereccio al lavoro al largo delle splendide coste mediterranee per sognare una barca bianca e azzurra che esce con le luci dell’alba e sentire quel profumo unico e riconoscibile per eccellenza di sale misto ad alghe e libertà. Ma questa magia si scontra con una realtà ben diversa che somiglia più a una schiavitù: la piccola pesca rischia di scomparire, portandosi via la bellezza di una narrazione che non può fare a meno dell’elemento di denuncia.
L’articolo è di Lara Loreti su La Stampa – Il Gusto