Tutelare il mare e la biodiversità: una sfida europea

di Umberto Mazzantini, Responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente

Nel 2008 è stata approvata la Direttiva quadro 2008/56/CE, chiamata Marine Strategy Framework Directive (MSFD), recepita in Italia con il D.Lgs. 190 del 13/10/2010, che ha l’obiettivo di conservare il buono stato ambientale dell’ambiente marino, cioè di preservare la diversità ecologica, la vitalità dei mari e degli oceani affinché siano puliti, sani e produttivi con l’utilizzo sostenibile dell’ambiente marino a un livello sostenibile e salvaguardando il potenziale per gli usi e le attività delle generazioni presenti e future.

Per questo la Marine Strategy ha individuato 11 descrittori e i traguardi da raggiungere per ognuno di loro. Dopo 14 anni, i risultati non sono certamente eccezionali e molti degli obiettivi non sono stati raggiunti, in particolare per quel che riguarda la biodiversità marina, tant’è vero che la nuova Strategia europea sulla biodiversità prende atto di un sostanziale fallimento – in particolare nel Mediterraneo e in Italia. E porta la percentuale del mare protetto da realizzare al 30%, in conformità con le indicazione della Convention on Biological Diversity (CBD).

La strategia marina dell’Italia, basata su una valutazione iniziale, sulla definizione del buono stato ambientale, sull’individuazione dei traguardi ambientali e sull’istituzione di programmi di monitoraggio, resta un oggetto nebuloso e gli impegni europei e internazionali sul mare o non vengono applicati – basta guardare alla vetusta flotta di traghetti che collega le isole minori italiane e le molteplici procedure di infrazione per la carenza e l’arretratezza dei depuratori – oppure si cercano fantasiose scorciatoie, come quella di far passare per una vera Area marina protetta il Santuario internazionale del mammiferi marini Pelagos, che resta poco più di un segno su una carta, o i vincoli a mare di Parchi come l’Arcipelago Toscano che aspettano di essere trasformati in un’Area marina protetta fin dal 1982, come prevedono leggi dello Stato e accordi internazionali mai applicati.

È la stessa European Environment Agency a dire in un report del 2021 che “i nostri mari ospitano molte specie, habitat ed ecosistemi. Forniscono inoltre alle nostre società servizi eco sistemici vitali, tra cui cibo, energia, aria pulita e mitigazione del cambiamento climatico. Tuttavia, attraverso il continuo uso insostenibile dei mari europei, abbiamo alterato il loro ambiente fisico-chimico, i loro habitat e gli ecosistemi. La resilienza dei nostri mari si sta erodendo, mentre i loro ecosistemi, habitat, biodiversità e servizi che forniscono sono seriamente minacciati”.

Dal report emerge che «la vita marina è minacciata nei mari d’Europa. Molteplici pressioni influiscono su specie e habitat, portando a impatti cumulativi sui mari che riducono la loro resilienza complessiva. Un’elevata percentuale di specie e habitat marini valutati continua a trovarsi in uno “stato di conservazione sfavorevole”. Molte valutazioni riportano uno “stato di conservazione sconosciuto”. Laddove vengono implementati e monitorati sforzi di gestione coerenti a lungo termine, si osservano alcuni effetti positivi sulle specie chiave. Con il quadro politico dell’European Green Deal e la strategia Ue sulla biodiversità fino al 2030, l’Europa sta compiendo un passo ambizioso verso l’arresto della perdita di biodiversità (marina) e la garanzia di mari sani e prosperi per il futuro».

Il Mar Mediterraneo è uno degli hotspot del mondo per la biodiversità: ospita ecosistemi altamente diversificati dove vive fino a circa il 18% della biodiversità marina mondiale, potenzialmente oltre 17.000 specie, in confronto, la baia di Botnia nel Mar Baltico ospita solo circa 300 specie. Queste specie sono alla base della capacità di un ecosistema marino di fornire servizi e benefici per le comunità umane che includono cibo, medicine, materiali da costruzione, energia e opportunità per il tempo libero, limitazione dell’erosione costiera o la mitigazione del cambiamento climatico.

Insomma, noi e le nostre economie dipendiamo da “mari sani con una vita marina fiorente per il nostro benessere e, in definitiva, per la nostra stessa esistenza”, dice l’EEA.

Quel che è certo è che l’attuale utilizzo dei mari sta mettendo a dura prova gli ecosistemi marini e “questo mette in contrasto le aspettative per il loro utilizzo futuro con la visione politica a lungo termine per mari puliti, sani e produttivi” (EEA, 2019).

I segni di stress sono visibili a tutti i livelli: dai cambiamenti nella composizione delle specie e degli habitat marini a uno cambiamento delle caratteristiche fisiche e chimiche complessive dei mari ed la condizione generale della biodiversità marina in Europa è preoccupante. Quasi tutti i gruppi di specie marine sembrano essere in cattive condizioni in tutti i mari europei, con tendenze di recupero contrastanti. Per molte specie e habitat, ci sono troppo poche informazioni per analizzare il loro stato o identificare se sono sulla buona strada per il recupero. Mentre alcune specie si stanno riprendendo, gli ecosistemi marini europei sembrano essere in declino. Secondo le ultime informazioni riportate nell’ambito della Direttiva Habitat, è chiaro che dal 2007 si è registrato uno scarso recupero: l’unica eccezione sembra essere costituita da alcune, ma non tutte, le popolazioni di foche.

La condizione delle popolazioni di pesci e molluschi sfruttati commercialmente nei mari europei (per i quali esistono dati sufficienti) presenta un quadro contrastante; nel 2017 le condizioni degli stock ittici nelle popolazioni dell’Oceano Atlantico nordorientale e del Mar Baltico hanno iniziato a migliorare. Un totale dell’82,3% e del 62,5% degli stock di questi mari, rispettivamente, sembra essere pescato in modo sostenibile. Tuttavia, le condizioni di alcuni singoli stock, come il merluzzo bianco, non hanno iniziato a migliorare in queste regioni; al contrario, la condizione degli stock ittici valutati nelle popolazioni del Mar Mediterraneo e del Mar Nero rimane critica. Secondo due rapporti FAO e UNEP MAP, nel 2016, solo il 6,1% degli stock del Mediterraneo e il 14,3% di quelli del Mar Nero venivano pescati in modo sostenibile nel 2016 e l’Europa non valuta ancora i singoli stock secondo i tre criteri primari individuati nella Marine Strategy e “non abbiamo ancora attuato questa parte delle nostre ambizioni stabilite nel 2008”, fa notare l’EEA.

In Europa vivono più di 180 specie di uccelli marini in Europa e i trend medi delle loro popolazioni sono stabili o in calo e a volte in forte difficoltà. I mammiferi marini sono tutti protetti dalla legislazione Ue e se alcune popolazioni di foche del nord Europa sono sane, in altre aree sono in calo.

Il numero delle rare foche monache del Mediterraneo sembra essersi stabilizzato, con sempre più individui avvistati anche nell’alto Tirreno (ultimo caso a Capraia) e nell’Alto Adriatico, ma le foche monache restano a forte rischio a causa delle ridotte dimensioni della popolazione. Recenti studi sulle popolazioni europee di orche mostrano gli effetti negativi dei policlorobifenili (PCB) sulla loro riproduzione, con il 50% della popolazione mondiale in pericolo. Al contrario, dal 1994 le popolazioni di balenottera minore, focena e zifio sembrano essere stabili. In Italia il tasso di spiaggiamento di stenelle e tursiopi resta preoccupantemente alto a causa del morbillivirus e di altre malattie indotte anche dall’inquinamento marino, senza contare i problemi legati alle catture accidentali.

Nel 2020 l’EEA ha avvertito che gli habitat dei fondali marini sono sottoposti a una pressione significativa, con un’elevata percentuale di habitat dei fondali marini protetti segnalati in uno stato di conservazione “sfavorevole” e/o “sconosciuto”.

Ma uno studio del 2021 mostra una catastrofica estinzione di specie marine causata dal clima nel Mar Mediterraneo orientale nell’ultimo decennio: le specie autoctone di molluschi sono crollate di quasi il 90%, lasciando dietro di sé un deserto arido sensibile alle colonizzazioni di specie invasive aliene provenienti dal Canale di Suez. Gli scienziati dicono che i dati “suggeriscono che questo nuovo ecosistema potrebbe aver varcato soglie che rendono impossibile il ripristino delle linee di base storiche”.

L’EEA conclude: «In quanto tale, la biodiversità resta minacciata nei mari d’Europa. Questi risultati sono ulteriormente supportati dalle relazioni 2018-2019 nell’ambito della direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino e delle direttive sulla natura, nonché dalla ricerca scientifica».

Anche se la situazione resta grave, grazie agli sforzi di associazioni e governi per ridurre gli impatti, ci sono alcuni segnali di ripresa delle specie e degli habitat marini. Una classificazione integrata della condizione della biodiversità dimostra che alcune aree, soprattutto al largo, nell’Oceano Atlantico nord-orientale sono ancora in buone condizioni.

Ma le aree costiere e i mari semichiusi come il Mediterraneo devono ancora affrontare sfide significative per quanto riguarda il recupero dell’intero ecosistema. La storia degli ultimi anni dimostra che la gestione delle singole specie commerciali può avere successo, come nel caso della forte regolamentazione della pesca del tonno rosso (che in Italia presenta lacune e distorsioni) che ha riportato indietro la specie dall’orlo del collasso alla quale era arrivata nel 2005-2007 e che probabilmente quest’anno raggiungerà livelli sostenibili di mortalità per pesca e capacità riproduttiva nel 2022. Ci sono anche esempi di recupero di singole specie di uccelli marini grazie a misure come il divieto di PCB e diclorodifeniltricloroetano (DDT).

Esempi che rimangono frammentati ma che dimostrano che il mare può essere curato e guarire e che danno un po’ di speranza. L’EEA è convinta che “l’Ue ha ancora la possibilità di ripristinare la resilienza degli ecosistemi marini pezzo per pezzo se agisce con urgenza e decisione per bilanciare meglio l’uso umano dei nostri mari con il suo impatto sugli ecosistemi marini”. Con la visione delineata nell’European Green Deal, gli Stati membri dell’Ue non solo hanno riconosciuto questa urgenza e hanno deciso di agire di conseguenza, adottando il quadro politico più ambizioso per il recupero della natura europea mai messo in atto dall’Ue e che vuole invertire la perdita di biodiversità entro il 2030 rafforzando la coerenza della rete delle aree protette; ripristinando attivamente gli ecosistemi sulla terraferma e sul mare; introducendo misure per consentire il necessario cambiamento trasformativo.

Tre pilastri sui quali il nostro Paese è drammaticamente indietro. Raggiungere questi ambiziosi obiettivi entro il 2030 richiederà: basarsi sulle lezioni apprese dagli sforzi di gestione esistenti che hanno prodotto miglioramenti per la biodiversità marina; colmare il divario di attuazione per garantire che gli impegni politici esistenti siano rispettati in tempo; colmare il gap di conoscenze per garantire che le misure messe in atto siano efficienti ed economicamente vantaggiose.

La protezione della biodiversità marina è una delle tante cenerentole italiane vestite di impegni internazionali ed europei solennemente firmati e indecentemente non attuati o attuati con i soliti trucchi all’italiana, con scappatoie e lassismo.

Invertire la perdita di biodiversità resta una sfida generazionale. L’Europa ha le conoscenze e le capacità per affrontare con successo questa sfida. Con il quadro politico dell’European Green Deal, stiamo ora dimostrando la volontà di intensificare i nostri sforzi per apportare i cambiamenti così urgenti. Occorre, quindi, che la stessa volontà la dimostri l’Italia, passando dall’epoca delle procedure di infrazione e delle Direttive non attuate o attuate sulla carta alla realizzazione di una vera Blue Economy made in Italy che abbia al centro la tutela della biodiversità e della salute del mare.

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