Dopo due anni di pandemia e segnata dalla escalation di violenze in Ucraina la celebrazione del 25 Aprile assume quest’anno un significato sicuramente particolare. Non sarà solamente l’occasione per ricordare la liberazione dell’Italia dal nazifascismo, per rendere onore al sacrificio e all’eroismo dei Partigiani (tra i quali si distinsero per numero ed abnegazione i Comunisti) per riportare alla mente gli orrori della guerra, le morti, le deportazioni, le distruzioni. Non sarà soltanto il momento, pur importantissimo e fondamentale, di passaggio della memoria tra coloro che quella guerra l’hanno vissuta, o direttamente o tramite il racconto dei nonni e dei genitori, e le generazioni più giovani. Dobbiamo infatti chiederci, oggi più di ieri, quanto i valori di libertà e democrazia che furono alla base della Resistenza e che trovarono la loro cristallizzazione politica e giuridica nella Costituzione, abbiano trovato concreta attuazione. Purtroppo dobbiamo prendere atto che non solo la nostra Costituzione continua in ampie parti e non essere concretamente attuata, ma che negli ultimi anni si è assistito ad un forte allontanamento dai principi che la hanno ispirata. Questo arretramento dei diritti politici e sociali, questo scollamento tra i fondamenti politici e civili della Repubblica e chi esercita il “potere” si manifesta sotto molteplici profili:
1) E’ evidente in primo luogo che la scelta del Governo Draghi di aumentare le spese militari costituisce una violazione dello spirito della nostra Costituzione. “L’Italia ripudia la guerra” ma il Governo italiano non è stato in grado, autonomamente o insieme agli altri paesi europei, di promuovere una iniziativa volta ad impedire l’escalation del conflitto armato e, successivamente, un cessate il fuoco e una soluzione diplomatica del conflitto. Pur in presenza di un palese contrasto di interessi il governo Draghi di unità nazionale si è limitato ad aderire alle richieste belliciste degli USA. La brutale aggressione dell’Ucraina decisa dal Presidente Russo Putin con il suo orrendo ed ingiustificabile precipitato di morte e distruzione, invece di trovare un argine nella comunità internazionale, è stata alimentata dalle altre potenze per ragioni economiche e geopolitiche che passano sulla testa delle popolazioni martoriate dal conflitto. Anche la scelta di fornire armamenti al Governo ucraino, oltre a costituire una indubbia violazione dell’art. 11 della Costituzione, si iscrive in questa logica volta ad alimentare il conflitto: probabilmente irrilevante a livello pratico, impedisce all’Italia di assumere quel ruolo di terzietà che potrebbe renderla protagonista di una iniziativa diplomatica autorevole ed efficace. D’altronde quello che non manca sullo scenario di guerra non sono certo le armi, già fornite in abbondanza dai governi e dalle industrie belliche di tutto il mondo (compresi i paesi occidentali) sia alla Russia che all’Ucraina, ma interlocutori capaci di ristabilire la pace. Basti pensare che, a fronte dell’ennesimo fallimento dell’ONU, l’unica iniziativa diplomatica degna di rilevo è stata quella della Turchia di Erdogan (paese che certo non brilla quanto al rispetto dei principi democratici ed impegnato a sua volta nella guerra di sterminio contro il popolo curdo).
2) Altrettanto grave è il profondo scostamento delle politiche portate avanti dei vari governi che si sono succeduti rispetto al principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art.3, comma 2, della Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Le politiche liberiste hanno portato invece ad un aggravarsi del disagio sociale e delle differenze economiche con la conseguenza che a molti cittadini è di fatto negato il libero esercizio del proprio diritto a condizioni di vita decorose. I dati statistici rendono evidente la situazione: mentre nel 2005 gli italiani in situazione di povertà assoluta erano meno di 2 milioni, oggi sono più di 5 milioni e mezzo; le retribuzioni sono in calo da decenni e molti lavoratori e pensionati si trovano in condizioni di povertà relativa. La decisione, assunta di pari passo con quella di aumentare le spese militari, di tagliare ulteriormente la spesa per la sanità e la scuola, aggraverà purtroppo queste già insostenibili diseguaglianze.
3) Segnale d’allarme circa la tenuta della nostra democrazia è anche la cattiva salute di cui gode il sistema informativo. Stampa e televisione sono concentrate nelle mani di poche famiglie e centri di potere. L’Italia è solo al quarantunesimo posto al mondo nella classifica della libertà di stampa. Agli occhi dei cittadini il sistema informativo appare sempre meno credibile e un numero crescente di italiani è convinto che lo scopo dell’“informazione” sia quello di manipolare l’opinione pubblica piuttosto che quello di fornire notizie.
4) A questo si accompagna un atteggiamento sempre più intollerante del “potere” rispetto alle manifestazioni di dissenso. Complice anche la più recente normativa (i famigerati decreti ”Salvini” mantenuti in vigore anche da tutti i successivi governi) sono aumentati gli atti di violenza in danno dei lavoratori in occasione delle controversie di lavoro e delle diverse crisi industriali e anche le recenti manifestazioni degli studenti hanno visto l’intervento repressivo delle forze dell’ordine su indicazione del Governo.
5) Mentre quella sancita dalla Costituzione era una Repubblica parlamentare (fondata su un sistema elettorale proporzionale) è del tutto evidente il progressivo svuotamento del ruolo del Parlamento. Si tratta di un fenomeno progressivo, agevolato anche dai sistemi elettorali della “seconda repubblica” che oggi è ancora più manifesto dato che con il governo di unità nazionale PD, 5 Stelle e Lega, tutte le decisioni sono sostanzialmente assunte in vertici tra i leader e poi semplicemente ratificate. Il sistema decisionale nella prassi è rimesso a ristretti gruppi di potere politico e perfino ad organismi non elettivi anche informali espressione non della società civile ma di ristrette conventicole economiche e lobbistiche. E’ comprensibile quindi il progressivo allontanamento dei cittadini dalla politica, espresso in modo evidente con il crescente astensionismo.
Oggi più che mai quindi il 25 Aprile è una data importante soprattutto per i giovani. I principi di libertà, di democrazia, di solidarietà sociale, di dignità del lavoro, che hanno ispirato la Resistenza e la successiva Costituzione non sono stati conquistati una volta per tutte, ma sono purtroppo ancora in gran parte da realizzare e chiedono di essere curati e tutelati attraverso l’impegno sociale e politico di tutti i cittadini.