“Davvero di Portoferraio? E ci torni spesso?”
Non so quante volte mi sono sentito ripetere questa domanda negli ultimi 25 anni. Quando mi capita di dire che sono elbano, in qualunque contesto, in qualunque luogo, la reazione è sempre la stessa. Un sorriso, un episodio e poi la curiosità di sapere qualcosa dell’Elba.
Non so se accade anche a voi, a me sempre.
Un po’ forse è naturale questa curiosità, perché noi elbani siamo pochi. Trentamila persone (ci vorrebbero due isole d’Elba per riempire San Siro), perlopiù fedeli allo scoglio, volenterosi di prendere l’ultima nave per rientrare a Portoferraio. Ma la domanda e la reazione che vedo negli occhi delle persone – che meno la conoscono – svelano qualcosa di più: una foto ingiallita ma conservata, un ricordo che si riaccende e che si srotola negli anni ‘80.
“Ci venivano i miei genitori, ed ho trascorso da voi anni splendidi”, mi ricordava qualche giorno fa un medico a Milano, appena conosciuto.
Chi ha sfiorato l’Elba nella sua vita, ne porta spesso con sè un ricordo piacevole.
Dovremmo partire da qui, da questo capitale di simpatia, da questa premessa di positività che le persone concedono alla nostra isola, e a noi.
Non so se ce le meritiamo fino in fondo, ma so che dovremmo farne tesoro.
Per cosa? Per lavorare su un terreno fertile e pregiato, per costruire una identità più forte della nostra isola. Per disegnare quello che oggi per le imprese si chiamerebbe Purpose.
Il motivo di fondo per il quale qualcosa esiste, ciò che la distingue sui mercati e nella più ampia arena delle percezioni. Vale per le imprese, ma vale anche per i luoghi, per le persone, per le esperienze.
Cos’è l’Elba nel 2022? Cosa la distingue, cosa la rende unica?
Che tipo di esperienza offre? E perché preferirla?
Rispondere a queste domande significherebbe scrivere il Purpose della nostra isola, sganciarci da un proposta generalistica un po’ fuori tempo e avere una piattaforma contemporanea su cui impostare – un istante dopo – politiche di attrattività più efficaci, più coerenti con le evoluzioni della domanda sul mercato, più robuste nel confronto con la concorrenza sia in Italia che in Europa.
Questa è la stagione migliore per scolpire l’identità della nostra isola, e farlo in modo profondo.
Lo è perché usciamo da una pandemia che ha lasciato, dietro di sé, sofferenze ma anche qualche cambiamento strutturale interessante. Il primo dei quali è la separazione fra l’esperienza del lavoro e la sua fisicità. E questo – per un qualunque luogo devoto all’accoglienza – si chiama opportunità.
E’ l’ora di ancorarci a ciò che il mercato cerca, apprezza, premia e uscire da un’offerta un po’ sfuocata, buona per ogni stagione o forse per nessuna.
Ernesto Ferrero, sulle colonne di questo giornale, individuava un tratto dell’anima dell’Elba nel mondo della cultura. Non potrei essere più d’accordo. Ma si potrebbe esplicitare la vocazione anche su altre aree: la sostenibilità (nei prossimi 40 anni sarà uno dei grandi motori dell’economia e del marketing territoriale, lo stiamo prendendo in considerazione?), il benessere, la formazione specialistica (che sarà sempre meno nelle aule), il design e molto altro.
Cosa serve? Lavorarci, alzare l’ambizione e la sognabilità della nostra isola.
Farlo insieme ai nostri amministratori, agli imprenditori che hanno costruito in questi anni prodotti di eccellenza, ai professionisti e ai tanti elbani che – a casa o sparpagliati in giro per il mondo – si sentono ogni giorno ambasciatori di un luogo meraviglioso.
Ci vogliamo provare?
Francesco Guidara